Una diretta televisiva per cambiare la storia. Un dietro le quinte giornalistico che diventa saggio di formazione professionale. Dopo Munich, il bel film di Steven Spielberg del 2005 che trattava lo stesso argomento da un’altra angolazione, arriva in sala September 5 di Tim Felhbaum che mette in scena il febbrile fervore della redazione sportiva americana della ABC chiamata a seguire le Olimpiadi di Monaco del ’72 proprio mentre un attacco di un commando arabo (Settembre Nero) uccise e sequestrò i componenti della squadra israeliana nel villaggio olimpico.
Così, quelle immagini, le prime trasmesse via satellite per una manifestazione sportiva, divennero simbolo e monito di cosa comporti piazzare una telecamera. Perché quella squadra di registi, giornalisti, operatori, produttori ed interpreti (magnifica Marianne Gebhardt, unica donna tedesca in grado di relazionare gli americani con polizia e media locali) fu chiamata a prendere decisioni sul campo, e in brevissimo tempo, capaci di mettere d’accordo sponsor e deontologia professionale, ascolti e verità.
Passati dall’intervista a Mark Spitz, il campione di nuoto ebreo (Chiedetegli cosa si prova a vincere l’oro a casa di Hitler…) all’eco degli spari fuori campo e in lontananza che annunciano l’assalto armato e il cambio di rotta giornalistico dell’evento, gli uomini dell’ABC sono alle prese con grandangoli e teleobiettivi, piantine degli alloggi e monitor spenti, scelta dei termini da mandare in onda (guerriglieri o terroristi?) e urgenza della rappresentazione (Chi sono gli ostaggi? Se non si sa chi c’è dietro una foto non sappiamo chi siano dice l’ottimo John Magaro nei panni del produttore esecutivo).
Con quel commando che si fa vedere armato e incappucciato affacciato al balcone di una finestra e che sembra sapere che quelle immagini in diretta possono paradossalmente giovargli.
Filmato tutto all’interno della redazione, dove l’aria condizionata non funziona e caffè e aspirine abbondano, September 5 rievoca, attraverso una efficace ricostruzione scenica d’epoca, il cinema politico degli anni ’70.
Vedendo il film di Felhbaum non può non venire in mente la redazione di Tutti gli uomini del Presidente, il film del ’76 di Alan J.Pakula con Dustin Hoffman e Robert Redford impegnati a portare alla luce il caso Watergate.
Giornalismo attivo e partecipato, sul campo, dove più che le agenzie e le veline conta(va)no le idee e le intuizioni. Mentre September 5 viaggia spedito in 95’ incalzanti, concitati e claustrofobici tra satelliti scambiati con la CBS e trattative con lo Stato, fonti e conferme, spirito olimpico, voglia di nuova Germania e tecnicismi da idioti (Stando a quello che dicono… è la formula magica per far passare una notizia non accettata).
Ricordandoci che l’informazione globale, con 900 milioni di spettatori sintonizzati, forse è nata quel giorno. Presentato a Venezia 81 nella sezione Orizzonti Extra e candidato all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale.
In sala dal 13 febbraio distribuito da Eagle Pictures