Stavolta per la consueta scena della tavolata conviviale (il marchio di fabbrica del regista turco) non bisogna aspettare. Si comincia proprio da qui, con Ferzan Ozpetek in persona che accoglie le 18 attrici del suo nuovo film e dispensa parti mentre sfilano piatti di pasta e bicchieri di vino.
Un vaginodromo lo definisce scherzosamente Geppi Cucciari (una delle new entry) ed ecco quelle donne catapultate in un’altra epoca (gli anni ’70) in un famoso atelier sartoriale che diventa l’ambiente giusto per celebrare l’arte del dettaglio e della cura.
Autobiografico (il film, scritto da Ozpetek con Carlotta Corradi ed Elisa Nasseri è ispirato ai ricordi della frequentazione della sartoria Tirelli) e dedicato a Mariangela Melato, Virna Lisi e Monica Vitti (Sperando un giorno di poter lavorare con loro recita la didascalia finale) Diamanti celebra la solidarietà femminile (Non siamo niente ma siamo tutto dice Jasmine Trinca) in un tripudio di costumi e colori che esalta l’immaginario femminile.
Uomini di servizio (ci sono il regista furente Stefano Accorsi e due mariti, quello placido di Luca Barbarossa e quello violento di Vinicio Marchioni) al cospetto di donne potenti e inermi, travolte dal passato e pronte a far valere i propri diritti.
Diretto da Luisa Ranieri (al quarto film con Ozpetek) e Jasmine Trinca, sorelle agli antipodi che nascondono un passato doloroso, ecco sfilare, in questo santuario laico del bello tra macchine da cucire, aghi e misure da prendere, Anna Ferzetti (madre in ristrettezze economiche con figlio che si nasconde in sartoria) e Nicole Griamudo, Mara Venier (sì, la zia della domenica pomeriggio nei panni della cuoca) e Milena Vukotic (la zia delle due padrone), Vanessa Scalera (la più convincente, nei panni di una costumista premio Oscar) ed Elena Sofia Ricci in apparizione finale, Aurora Giovinazzo (in fuga da una manifestazione politica e nuovo talento dell’atelier) e Sara Bosi, Loredana Cannata e Milena Mancini, Paola Minaccioni (con figlio a casa che non vuole più uscire dalla sua stanza) e Lunetta Savino (poco credibile la sua versione dell’amante del giovane e aitante segretario della sartoria), Giselda Volodi e l’accoppiata Carla Signoris/Kasia Smutniak nelle vesti di due attrici agli antipodi per metodo e fascino (i loro duetti acidi sono tra le cose più divertenti e migliori del film).
In mezzo il rimpianto per un tempo che non c’è più, le immancabili canzoni di Mina (qui si ascoltano Mi sei scoppiato dentro il cuore e L’amore vero oltre a Le Mattchiche trasmessa da un tv sintonizzata su Milleuci, lo show del sabato sera), la tessitura di un abito che non serva solo a vestire il personaggio ma a farlo esistere e la connessione diretta delle donne con le stelle (Per questo sentiamo tutto) a farne i diamanti del titolo.
Con finale evocativo in bilico tra ricordo e visione e Ozpetek alle prese coi suoi fantasmi personali. Non c’è niente di quello che ti aspetti promette ad inizio film alle sue attrici, e al pubblico, il regista di Mine vaganti e La finestra di fronte che poi ineggia alla rinascita femminile stile Cortellesi (si veda la sequenza dell’assassinio del marito della Mancini che finisce con una cantatina generale…) con intermezzi melodrammatici (gli sguardi muti e carichi di rimpianto tra Luisa Ranieri e il suo amante sulle note di Mina) e l’universo maschile ridotto a macchietta (i modelli mezzi nudi divisi tra cortigiani e contadini dalle operaie della sartoria).
L’eleganza e lo sfarzo dell’insieme (lode ai costumi di Stefano Ciammitti) sembrano così soffocare una struttura narrativa sin troppo programmata e manifesta. Al cinema, come nella vita, fare dell’universo femminile un mondo a parte può essere controproducente. Sui titolo di coda Giorgia canta l’intenso brano omonimo del film.
In sala dal 19 dicembre distribuito da Vision