I titoli di testa, con quel piatto rotto e ricomposto come nuovo che rimanda al kintsugi, la tecnica di restauro giapponese, appaiono da subito come il manifesto di un film di fratture e tentativi di riconciliazione.
Diretto da Guido Chiesa (lo script è dello stesso regista con Nicoletta Micheli dall’omonimo film argentino del 2022 di Adrian Suar) 30 notti con il mio ex racconta della nuova convivenza forzata di una ex coppia che non si vede da due anni.
Per amore della figlia adolescente (l’esordiente Gloria Harvey, una sorta di giovane Porcaroli), Bruno (Edoardo Leo), un consulente finanziario con passato da ex calciatore di serie C, accetta di ospitare in casa, su consiglio della psicoterapeuta (Anna Bonaiuto) che l’ha avuta in cura, quella donna troppo sensibile (Micaela Ramazzotti) che ha un condominio in testa e sott’acqua non sente le voci.
Dopo aver concluso il suo percorso di riabilitazione in comunità scatenato dalla depressione post parto, Terry accetta regole di convivenza e l’ordinario al posto dell’eccentrico nel nome di una ritrovata unione. Durerà? Difficile tra esibizioni canore di arte malese alle 3 di notte e paranoie in agguato, pareti bianche che la agitano e bidet fatti a pezzi, buchi sulle pareti e voglia di stupire (Che ti ridi? Sono matta, mica scema dice all’amante del dirigente del marito).
E se quell’ansioso e maniacale marito (nel frigo sono elencate le scadenze di tutti i prodotti conservati) che nel frattempo frequenta un’altra donna a cui non ha fatto cenno della ex moglie, scoprisse improvvisamente che il segreto è mettersi nei panni dell’altro in uno scambio di ruoli che può significare rinascere?
Invita ad entrare nella malattia mentale e ad uscire dai pregiudizi il film di Chiesa che a differenza di Marylin ha gli occhi neri di Simone Godano (2021), simile per toni e tematiche, sembra accontentarsi della superficie piuttosto che affondare i colpi in una realtà assai complicata.
Non bastano le visite tragicomiche degli assistenti sociali e gli incontri di Terry al centro diurno a dare l’idea del dramma emotivo di quella ex interprete giapponese in cerca di se stessa e del proprio posto nel mondo. Tutto troppo semplicistico ed edulcorato e senza ritmo tra figurine di contorno e colpi bassi (la scucchiarata ciociara e la gomitata di Leo al vicino milanese che offende i romani), cene messicane, creazioni artistiche da oggetti riciclati (Bello vedere le cose rotte riprendere vita dice Terry a ribadire il concetto del film) e Buster Keaton in tv. Un inno alla perdita del controllo e alla rivalutazione dei desideri repressi tra sorrisi e una vena romantica che poco si addice al contesto.
Non funziona la chimica attoriale tra i due protagonisti, coppia inedita sul grande schermo dopo la lontanissima miniserie televisiva Blindati di Claudio Fragasso del 2003. Bene la Ramazzotti, abbonata al ruolo di donna fragile ed emotivamente instabile, male Leo, monocorde, accigliato e spaesato. A chiudere il film, sui titoli di coda, L’avresti detto mai, il brano co-scritto e interpretato da Malika Ayane.
In sala dal 17 aprile distribuito da Piper Film