A 94 anni e alla sua 42ma regia Clint Eastwood dimostra come ci sia ancora spazio per un cinema classico e pacato, meditato e problematico. Racconto morale e film a tesi (Il sistema giudiziario americano? Non sarà perfetto ma è il migliore che abbiamo si afferma nel film), Giurato numero 2 segue le vicende di Justin Kemp (l’ottimo Nicholas Hoult tra poco nuovo Superman), padre di famiglia (la moglie, Zoey Deutch, sta completando una gravidanza a rischio), scrittore di articoli di attualità per una rivista e faccia da bravo americano chiamato nella giuria popolare per un processo di omicidio.
Una ragazza è morta in Georgia e il suo compagno, spacciatore e violento, si ritiene possa averla assassinata e gettata da un ponte. E se il vero responsabile di quella morte accidentale fosse proprio quel giurato che inizia a dare segni di impazienza e non sa se dare ascolto alla sua coscienza o no?
Con un occhio a La parola ai giurati di Lumet (ma qui le discussioni interne sono poche) e l’altro alla carriera nel nome di una presunta giustizia (Nei panni del sostituto procuratore c’è’ una meravigliosa Toni Collette in odore di elezioni), Eastwood indaga tra sensi di colpa e seconde possibilità (il protagonista ha un passato da alcolista), parole che confondono (Più parliamo meno sappiamo sentenzia una giurata) e segreti (Sono loro a farci ammalare dice a Kemp, Kiefer Sutherland alla riunione degli alcolisti anonimi) in un film che rivela da subito come siano andate le cose perché al regista californiano interessa ben altro.
Ovvero i meccanismi per arrivare ad un verdetto equo (si passa da La giustizia è verità in azione per arrivare, nel magnifico dialogo del sottofinale sulla panchina davanti al tribunale tra Hoult e la Collette ad un A volte la verità non è giustizia).
Ed ecco testimoni e interrogatori, filmati da visionare e giurati dai mille volti (l’ex poliziotto J.K.Simmons che capisce tutto ma è espulso per aver indagato in proprio, la giurata n.13 drogata di True crime che avvisa che la prima regola è che il sospettato principale è sempre il marito, la seconda è che spesso il sospettato principale non è il colpevole) e spesso interessati più alle incombenze familiari che alle vicende dibattute.
Magari qualche passaggio è un po’ troppo sbandierato per ragioni morali (perché ad occuparsi dell’indagine sulle targhe delle auto è il pubblico ministero folgorato all’improvviso sulla via della verità e non l’avvocato della difesa?) ma il film di Eastwood (scritto da Jonathan Abrams) regala una tensione piana che senza bisogno di effetti speciali punta su dubbi e domande che si insinuano nella testa dello spettatore chiamato all’immedesimazione.
In sala dal 14 novembre distribuito da Warner Bros.Pictures