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lunedì 16 settembre 2024
di Claudio Fontanini
LA MISURA DEL DUBBIO
Daniel Auteil dirige ed interpreta un film su un omicidio realmente avvenuto
A sei anni di distanza da Sogno di una notte di mezza età, Daniel Auteil torna dietro, e davanti, la macchina da presa per dirigere un classico film processuale ispirato ad una storia vera. Ne La misura del dubbio (titolo originale Le Fil) si comincia con un padre di famiglia (Grégory Gadebois) improvvisamente arrestato mentre sta preparando la cena per i suoi cinque figli. 

L’accusa è l’omicidio della moglie, allontanatasi da casa dopo un furioso litigio col consorte e trovata accoltellata alla gola vicino ad una panchina poco lontana dall’abitazione. Ad appassionarsi al caso  è l’avvocato Jean Monier (Auteil), uno che non difende un imputato da quando, 15 anni prima, aveva colpevolmente scagionato un serial killer di persone anziane. 

Giocato sul concetto della rappresentazione della verità e sulle mille sfumature che ne differiscono la percezione, il film di Auteil, passato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, prende le mosse dal blog, sotto pseudonimo di Maitre Mo, dell’avvocato penalista (nel frattempo scomparso) che impersonifica sullo schermo. 

Storie di vita e giustizia, spesso sommaria, che, nel caso in questione, spingono alla riflessione su quanto possa essere fallace il giudizio soggettivo e l’intima convinzione non surrogata da prove. 

Ecco così succedersi ragioni e personaggi in ordine sparso chiamati a far luce (o forse no) su movente (apparentemente inspiegabile) e succedersi dei fatti. Con la Camargue e il sud della Francia a fare da sfondo (magnifico) a questa intricata storia di solide amicizie e violenze taciute (colpo di scena finale imprevedibile). 

Con quell’imputato che somiglia ad un colosso fragile, che dopo tre anni di detenzione preventiva finisce sotto processo difeso da quell’avvocato che lo crede innocente. Ci sono di mezzo case in usufrutto e cognate vendicative, ex militari che istigano ad uccidere (il cantautore Gaetan Moussel) e figlie reticenti a testimoniare in aula. 

Mentre prove,  deduzioni (ad uccidere è stato un mancino) e dissimulazioni si succedono con Auteil regista che gestisce gestisce senza mai spettacolarizzare la vicenda. Con qualche inutile divagazione narrativa (la vicenda del giovane torero ucciso) e un finale più figurativo che necessario

Magnifico Auteil, faccia dolente e voglia di fare pace col passato che si concede persino un interrogatorio che omaggia Marcel Marceau e l’arte del mimo.           


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