Un amore struggente che sfida le leggi temporali, una leggenda che affonda le radici nella mitologia greca, una città in trasformazione che si metafora di nuovi sentimenti. Diretto da Christian Petzold, autentico specialista di indimenticabili ritratti femminili (La scelta di Barbara, Il segreto del suo volto, La donna dello scrittore) Undine- Orso d’Argento alla sua magnifica interprete e Premio Fipresci della Critica internazionale a Berlino 70- fa rivivere sullo schermo la storia di uno spirito acquatico in forma umana raccontata nel 1811 da Friedrich de la Motte Fouqué nell’omonima fiaba.
Che differenza c’è tra un dobbiamo incontrarci o un ti devo vedere? Il bellissimo inizio del film di Petzold segnala da subito il tradimento di un patto, il venir meno a una promessa di amore eterno, assoluto.
Se mi lasci dovrò ucciderti dice allora al suo compagno Undine (una memorabile Paula Beer), storica che lavora per l’amministrazione del Senato a Berlino organizzando visite guidate sullo sviluppo urbano.
Una città in perenne trasformazione costruita sulle paludi, proprio come il mondo dal quale proviene il suo nome leggendario. Sospesa tra acqua e terra e divisa tra la maledizione del passato e un presente da reinventare, Undine troverà in un romantico e timido subacqueo industriale (Franz Rogowski, il sosia di Joaquin Phoenix) una nuova possibilità di incarnare quell’ideale di amore assoluto a lungo inseguito. Ma è possibile sfuggire al proprio destino?
Originale e audace, spiazzante e potente, il film di Petzold è carico di presagi e ossessioni e viaggia nei sentieri della mente più che in quelli della narrazione. Opere dove sentire è più importante che capire e abbandonarsi al clima necessario. Accompagnato da una colonna sonora suadente ed ipnotica con l’Adagio di Bach a sottolineare i momenti più emozionanti, Undine riporta alla mente Le onde del destino di Lars von Trier in un gioco di rimandi e ricostruzioni visive nel quale la forma segue la funzione.
Come quei bellissimi plastici di Berlino che fanno da mappa architettonica ad una ricostruzione (impossibile?) di sentimenti e palazzi. Tra pesci gatto e precetti di coppia (Non bisogna mentire a chi si ama), discese negli abissi e macchie di vino rosso sulle pareti, acquari in frantumi e rinascite spirituali, il nuovo adattamento cinematografico del mito di Undine (l’ultimo, firmato da Neil Jordan risale al 2009) è cinema allo stato puro.
Un vertiginoso tuffo nella bellezza che ci allontana per 90’ dal nostro tempo malato e senza ossigeno. Perché contro chi ci trascina verso il basso e per sfuggire alle proiezioni maschili c’è un prezzo da pagare: quello della libertà. E persino il ricordo di un’immersione in un lago incantato può non bastare. Da non perdere.
In sala dal 24 settembre distribuito da Europictures