Il cinema di genere italiano tenta la rinascita avendo come riferimento quello degli anni Sessanta-Settanta che ha rappresentato una fetta non indifferente nel mercato internazionale e fatto scuola nell’allora cosiddetta serie B offrendo un cinema artigianale di ottima qualità, condotto dai maestri Mario Bava e Riccardo Freda specialisti soprattutto nell’horror all’italiana, ma non solo. Ci hanno provato il regista Giacomo Lesina e il produttore (anche scenografo) Massimo Spano che hanno portato sul grande schermo una sceneggiatura di Germano Tarricone che fonde unità di tempo e luogo in un thriller mozzafiato e claustrofobico sostenuto efficacemente dall’unica protagonista Antonia Liskova, in una vera e riuscita prova di attrice mai sopra le righe, nonostante sia sempre preda dell’obiettivo, tranne rare eccezioni (le soggettive), e anche in primissimo piano.
E dopo il passaggio in concorso al Courmayeur Noir in Festival 2014, In the Box segna il debutto da regista di Lesina nel cinema che però ha sulle spalle trent’anni da aiuto regista (da Luigi Comencini a Carlo Vanzina, da Francesca Archibugi a Paul Schrader) e anche come regista televisivo (da “Don Matteo 6” a “La freccia nera”). Quindi, un riuscito thriller al femminile che gioca naturalmente sull’ambiguità e sul dubbio, su disperazione e paura, prendendo spunto anche dall’attualità e dalla nostra quotidianità per raccontare l’incubo di una giovane donna che si risveglia dentro le quattro mura di un garage (cemento armato, unica finestrella dove entra la luce ma vetro infrangibile), apparentemente inoffensive come la maggior parte dei luoghi di una grande metropoli, ma che ora la isolano completamente dal resto del mondo.
All’interno del ristretto spazio, una macchina esala anidride carbonica, un gas che ogni giorno senza saperlo respira quando esce per strada come chiunque di noi, un gas apparentemente innocuo, ma che lì dentro diventa micidiale. E, purtroppo, chi l’ha rinchiusa nel garage è uno sconosciuto che sa tutto di lei, del suo passato e che la tortura via cellulare ricordandole quanto tempo metterà a morire, probabilmente quello del film (81’) se non riesce a trovare una via d’uscita o un aiuto dall’esterno. Di più non possiamo svelare perché non mancano i colpi di scena e le sorprese, visto che la mortale trappola sembra davvero blindata, e la donna ha una figlia piccola che l’aspetta a casa.
“Quanto siamo liberi? – si chiede l’autore nelle note di regia – E’ una domanda che ci si pone spesso, ma a cui difficilmente riusciamo a dare risposta. Perché la maggior parte di noi conduce una vita tranquilla, fatta di una routine che ci protegge, tiene a bada le nostre paure. E se la nostra esistenza, all’improvviso, sfuggisse al nostro controllo e finisse nelle mani di un altro? Uno sconosciuto. Una persona che conosce tutto di noi. Soprattutto le nostre debolezze, gli errori commessi nel passato, il poco valore che a tratti abbiamo dato alla nostra vita presi dalle nostre angosce. Qualche che sembra avere cattive intenzioni”.
A tutto questo cerca di dare una risposta la protagonista e il film che proprio per questo diventa inquietante. Il film, girato completamente in inglese e ambientato in una Los Angeles che non vedremo mai, è stato già venduto negli Stati Uniti, Canada e Corea, ed esce ovviamente in versione italiana. Solo altri due interpreti in ruoli cameo: il piccolo Niccolò Alaimo (Thomas) e Jonathan Silvestri (lo sconosciuto). Nelle sale dal 23 aprile distribuito da Istituto Luce-Cinecittà |