Non si vive di solo Heimat ma sembra che Reitz non lo sappia o, forse, nessuno glielo ha mai fatto notare. Impegno meritevole ma che personalmente ci lascia, oramai, indifferenti. Tanto avevamo amato la prima serie quanto ci infastidisce questo elastico temporale che ormai si protrae da quasi 30 anni. Un arco teso ma che non vibra più di tanto; la stanchezza di un pitch ormai usurato che si identifica con la vita reale del grande autore teutonico che dopo aver dato alla luce alcuni film immensi, che rilanciarono la cinematografia tedesca, con il primo Heimat ci aveva immerso in un mondo a noi sconosciuto e ricco di sorprese. Ma come tutte le saghe ci deve essere una fine.
Con queste premesse il secondo giorno lagunare non sembra entusiasmare più di tanto, ma esiste sempre un ma, per fortuna nostra e dei frequentatori del Palazzo del Cinema c’è l’atteso film dell’italica Emma Dante, attrice e regista teatrale molto amata dagli habitué delle sale con le tende rosse che per il suo film d’esordio (volendo giocare con le citazioni: Tutto quello che avreste voluto sapere su Palermo e non avete mai osato sapere) sceglie una storia borderline vibrante e tesa. Via Castellana Bandiera è tratto dal primo romanzo della autrice palermitana (2009) che invece di scegliere uno delle sue straordinarie pieces teatrali sceglie un romanzo, che disseziona le anime di due donne e dei mondi che ruotano attorno a loro.
Tutta l’azione si svolge in un budello di strada che non permette alle due automobili, una di fronte all’altra, di passare. Un incontro scontro che sembra non avere fine. Uno scontro tra due donne diverse ma unite dalla stessa forza di non cedere mai. Un film che si annuncia come l’evento italiano dell’anno e che non dovrebbe deludere le attese. Per quanto ci riguardo lo apprezziamo molto, anche se a volte non basta la storia e la bella fotografia di Gossi, a dare quel pizzico di azione al film. Certamente, però, rispetto allo stanco Reitz dell’ennesimo Heimat, ha una forza e una vitalità sanguigna che trasuda e traduce in immagini sentimenti forti.
Sempre nella sezione concorso c’è John Curran, robusto e e semindipendente regista americano, ma di formazione australiana, autore di un folgorante esordio come Praise, dell’interessante ma non del tutto riuscito I giochi dei grandi, del deludente Il velo dipinto e dell’accattivante Stone. Con questo Tracks fa un ennesimo passo avanti con questo road movie tratto dalla vera storia di Robyn Davidson, esploratrice che attraversò il deserto australiano in compagnia del suo fotografo, di quattro cammelli e un cane. Un duetto esistenziale da vera esploratrice non solo di luoghi ma del’anima degli esseri viventi. Un aspetto che la regia pulita e ordinata, ma senza grandi guizzi, di Curran cura molto da vicino. Un film che potrebbe riservare qualche sorpresa, in tema Leoni, per la grande performance di Mia Wasikowska.
Andando a spulciare nella sezione Orizzonti troviamo un regista di culto come Shion Sono. Piccola polemica: non riusciamo a capire perché nella sezione orizzonti (oltre 30 pellicole del nipponico Sono)? Detto ciò il film presente qui a Venezia, Jigoku de naze warui, promette sarcarsmo a non finire con una storia d’amore e odio tra sentimenti spesso contrastanti e contrastati. Una piccola perla da non perdere.
Per finire bene la giornata consigliamo Providence, capolavoro mai troppo osannato di Alain Resnais. Film straordinario che riconcilia con il cinema con la C maiuscola grazie anche ad una prova attoriale senza eguali del mitico Dirk Bogarde che non si fa oscurare da sir John Gielgud, una battaglia titanica senza vinti e vincitori. Anzi esiste un vincitore, ed è il cinema.