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martedì 27 agosto 2013
di Mauro Conciatori
CIRCO MEDIATICO O GRAN GUIGNOL?
Da domani, riflettori puntati sulla Mostra del Cinema: 70° edizione, ma è sempre amor fou
Nozze di platino con Venezia per i cinefili, e non solo, grazie al traguardo dei 70 anni (o meglio dire delle settanta edizioni) che “La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia” si appresta a festeggiare domani. Ciò nell’ottica di affermare che, arrivati a questo prestigioso traguardo, si tratta di vero amore e non di abbaglio. Una fierezza italica che dovremmo cullare con molto amore ma spesso ce la facciamo sfuggire dalle mani

Nozze di platino con Venezia per i cinefili, e non solo, grazie al traguardo dei 70 anni (o meglio dire delle settanta edizioni) che la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si appresta a festeggiare domani. Ciò nell’ottica di affermare che, arrivati a questo prestigioso traguardo, si tratta di vero amore e non di abbaglio. Una fierezza italica che dovremmo cullare con molto amore ma spesso ce la facciamo sfuggire dalle mani. Cambiano le firme, cambiano gli autori, cambiano gli interpreti, cambiano i critici ma la mostra della laguna non cessa mai di accogliere nitrato d’argento e inchiostro a profusione (ormai, però sostituiti da più moderni mezzi e strumenti, giustamente) planati come neve estiva che non si scioglie ma rinfresca le afose giornate del lido.

Il compito di aprire il più grande spettacolo del mondo, edificato negli anni, a suon di pellicole e non di castelli di sabbia (o di rabbia?) spetta ad Alfonso Cuarón con Gravity. Il regista messicano torna per la terza volta a Venezia e, dopo 7 anni di assenza dagli schermi, propone questa storia che riflette la solitudine umana. Non è solo un film di fantascienza o fantastoria ma un dura riflessione su uomo e donna e sulle derive dei rapporti tra i due sessi. Compresa la durezza dei meccanismi che si innescano.

Non a caso la donna si chiama Stone, come le meteoriti che si abbattano sulla nave spaziale, e l’uomo Kowalsky è lo stesso alla ricerca del suo punto zero che non porta da nessuna parte o porta ovunque (si potrebbe obbiettare che Kowalsky possa essere il pinguino sapientone di Madagascar, andrebbe bene lo stesso). Riferimenti voluti o casuali? Certo i due che fluttuano nello spazio senza nessuna casa nel bosco e senza nessun approdo sono naufraghi senza scampo. Così sembra. Certamente Gravity è il giusto esordio per inaugurare queste nozze, che durano da così tante edizioni e da molti più anni.

Ma prima del film del messicano, ormai americanizzato e hollywoodizzato, Cuarón, il festival apre con i due film de Le giornate degli autori. Subito dopo la seconda colazione verrà proiettato La belle vie di Jean Denizot che fa il suo esordio nel lungo (dopo due corti) con un film a tratti rohmeriano ma senza averne la spensieratezza. Qui siamo più dalle parti di quella linea d’ombra che diventa ambra nella quale celarsi e poi svelarsi. La fine della famiglia e l’inizio di una nuova famiglia. Le illusioni. Gli amori paterni e gli amori amori. Le passioni che iniziano prima ancora di creare illusioni. Prima si deve provare la disillusione poi ci si può lasciar andare a ciò che si ha nel cuore.

A seguire Gerontophilia, film in lingua francese del canadese Bruce LaBruce etichettato oltreoceano come una sorta di Harold e Maude in versione omosessuale ma che alla fine trova la sua ragione di essere nell’amore che non conosce frontiere senza le follie del capolavoro di Hal Ashby ma solo con la passione sfrenata che lega due persone. Per LaBruce è un film che sancisce un certo distacco dalle sue provocazioni sessuali per un film più commerciabile senza, però, rinunciare alla carica erotica che ne permea l’opera. Alla fin fine la prima giornata si apre all’insegna dell’amore. Amour fou, amore senza fine…


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