“L’arte non insegna niente, tranne il senso della vita” diceva col suo graffio inconfondibile l’acquerellista, reporter e scrittore ‘di rottura’ Henry Miller. Forse aveva ragione, forse no. Chi può dirlo? Si potrebbe discutere a lungo sul legame arte-vita, ragionare per giorni sul significato del processo artistico, del suo essere parte in divenire delle nostre esistenze, senza riuscire a cavare altro che ragni dai buchi. Ogni artista, al di là delle codificazioni, delle correnti, dei periodi storici, e dei riferimenti, appartiene e (cor)risponde infatti solo al proprio personale modo di fare arte. Che basta, o dovrebbe bastare a se stessa. Quindi, che venga considerata luogo della perfetta libertà, motivo di plagio o di liberazione, chiave d’accesso per attingere alla bellezza, o semplice espressione volitiva dell’emozione legato all’attimo creativo, poco importa. Purché l’arte sia davvero libera, senza condizionamenti, protesa in quello slancio purissimo di intuizione, ingegno, frenesia e sperimentazione di cui è allo stesso tempo madre e figlia.
Capita di rado di incontrare artisti che sappiano sussurrare fuori dal coro, per dire qualcosa di originale e sincero. E quando ciò accade, è sempre un piccolo miracolo. Succede con Silvano Manco, artista completo, nel vero senso del termine. Nato ad Arma di Taggia nel 1957, e residente nel borgo ligure di Bussana Vecchia (Foto n. 2) dal 1979, Manco è musicista polistrumentista, scrittore e pittore, convinto sostenitore dell’idea che l’arte sia una, indipendentemente dalla forma che assumono le sue singole manifestazioni. Lo abbiamo incontrato grazie al progetto della METAFORA DI BUSSANA, il collettivo artistico di Giacomo Ferrante, verso il quale Silvano si pone come supporter esterno, tanto per rimanere coerente alla sua filosofia di vita: essere fedele solo alla propria indipendenza. “Non voglio vivere senza me/ rendimi il mio io speculare/ lasciami ancora pensare che rifletto qualcosa, che qualcosa so” canta infatti nel bellissimo pezzo Il sonno del sonno contenuto nel cd antologico Icaro.
Icaro (Riverrecords, Milano) è una raccolta di 14 pezzi, versatile e umbratile, che spazia dalle ballad sentimentali struggenti mai banali, dai testi soavi come carezze a lungo meditate (come Martina dedicata a sua figlia) o brevi e impervie come aspre discese nei territori delle maree e dei nodi al cuore (Il freddo, L’apprendistato), alle song in cui è il ritmo cucito all’ironia a far spiccare voli leggeri (irresistibili Il cannabista e L’asma). Sarà per il chiaro timbro vocale o la condensata architettura dei testi, che affabulano senza appesantire (difficile non pensare a Fabrizio De André con Un alveare anche se è con Icaro che il pentagramma, soavemente, raggiunge vette altissime) ma definire in poche righe la cifra stilistica di questo fine musicista e compositore, amante della filosofia e libero pensatore, è impresa ardua. Non possiamo fare altro che consigliarvi, vivamente, l’ascolto.
Icaro è frutto di molte esperienze e diversi viaggi emotivi: nei tuoi lavori - dove il concetto o la emozione diventano materia - cosa è che lasci entrare, cosa trattieni, e cosa invece lasci andare? c’è una metodologia, uno standard che segui e che reiteri, oppure ogni esperienza, ogni frutto è un viaggio a sé?
Icaro è una compilation tratta da una discografia di 230 canzoni circa. Si tratta di un cd fatto per meri motivi strategici dei quali non mi sono curato, ma che di fatto ha sfiorato la targa Tenco pochi anni fa (e anche di questo, ho decisamente pensato di non curarmi). In realtà esiste un Icaro non ufficiale, che comprende 20 canzoni. E’ l’album più lungo mai scritto da me, e credo che sia già il sesto o settimo in ordine cronologico. Dopo Icaro vengono nell’ordine: Il Mestiere: o confessioni di un confessionale e Angoli Scalzi (entrambi in vendita su iTune e Amazon,ndr).
Nel cinema si dice che ogni autore giri sempre lo stesso film, pur cambiando personaggi e situazioni: si può dire lo stesso della tua musica: senti di aver cantato sempre la stessa canzone?
Ogni esperienza resta un viaggio a se stante, trovo che sia valida anche per me la regola che nel cinema vede ogni autore ribadirsi ma, questo vale esclusivamente per quanto riguarda lo stilema, non tanto poi per le storie o i sogni e le paure che tratto, quando scrivo una canzone. In tutti questi anni penso di aver, in fondo, parlato di tutto o per meglio dire di me rispetto al tutto, rispondendo ad una esigenza rigorosamente emozionale. Vivo momenti in cui scrivere una canzone diventa un bisogno. Ecco, quelli sono i momenti che bisogna evitare per scrivere, prediligendo invece ossimoricamente attimi in cui è il testo che gioca con te e liberamente ti suggerisce parole. Quelli sono gli attimi dove sfiori il meglio che puoi fare, basta soltanto accorgersene in tempo, prima che l’attimo si allontani nella sua premura di sfuggirti per non essere relegato al limite della forma canzone. Insomma, il miglior momento è quello in cui è la canzone ad aver bisogno di scrivere te. E non viceversa.
Tra ragione e cuore, filosofia e spiritualità, ma anche ironia e malinconia, i tuoi pezzi viaggiano su ritmi sudamericani: quale mood ti lega a questi paesi e di quale musicista ti senti idealmente figlio?
Mi sento figlio di un paio di epoche, più che sentirmi figlio di qualche musicista ideale. Figlio della mia epoca e dei gloriosi anni 50 e 40, ecco il perché delle ritmiche beguine, habanera e le fuitine nella bossa. Per la musica, io sono palesemente legato a stili musicali ben definiti e storicamente ben ubicati. Cosa giochi a favore di un aroma piuttosto che un altro sarebbe come chiedersi perché amiamo il profumo del caffè piuttosto che quello del tè, perché preferiamo gli spruzzi marini di Melville agli spigoli di Camus o viceversa (personalmente li adoro entrambi). Dal punto di vista prettamente musicale, quindi, penso di essere "agito" da aromi, contesti, colori che mi spingono verso una direzione precisa, che non mi affatico ad evitare.
Sei un testimone oculare di Bussana Vecchia, dove vivi e lavori da anni: come è cambiato nel tempo il respiro dell’arte nel borgo, e quanto ti ha influenzato la Liguria come cantautore?
La creatività in Bussana Vecchia sta semplicemente subendo un contesto generale esterno alieno alla cultura ed all’arte. Questo posto vive delle sensazioni di migliaia di persone che lo sfiorano, semplicemente o che decidono di organizzarsi per una permanenza più prolungata, e tutta questa gente porta con sé il disagio di un sistema equivoco che va sempre più rivelandosi una sconfitta, quindi ognuno di loro arriva qui con le stesse speranze che ispiravano noi, e chi prima di noi, a inventarsi un ritmo ideale non inglobato ma, sfortunatamente o fortunosamente, questi sono costretti a partire da un punto di vista estremamente meno efficace perché troppo più disilluso, di conseguenza ne fanno le spese la creatività e l’energia del borgo che sta lentamente ma inesorabilmente "istituzionalizzandosi", pur conservando uno "zoccolo duro" del quale mi pregio di far parte.
Ha ancora senso, oggi, parlare della funzione dell’artista nella società, e se sì, qual è il peso specifico della tua arte?
Sono più che conscio del fatto che la Liguria sia stata e sia tuttora determinante per ciò che vivo e che scrivo. Non tanto per il notorio status di regione che ha prodotto quanto di meglio la canzone d’autore abbia saputo regalare alle nostre orecchie, quanto per un’intensa e partecipata connessione geografica con il territorio, che mi vede totalmente innamorato della mia così splendidamente ossimorica terra. Un capitolo a parte sarebbe da spendere sul mio rapporto con i liguri ma, in fondo, considerando la mia poca stima nel genere umano, sarebbe tempo sprecato...spretato!!!
Immagino abbia ancora senso parlare del ruolo dell’artista nella società, come immagino abbia senso parlare del ruolo della società nell’artista. Io per non sbagliare li lascio a discutere sulla loro adeguatezza senza curarmi troppo della tenzone in corso. Nacqui tendenzialmente nichilista, anche se spesso lo insabbio nelle mie canzoni. Per quanto riguarda il peso specifico della mia arte, vorrei che non ne avesse affatto, e spero di riuscire nell’intento di passare quasi inosservato. Voglio dire: sono già talmente occupato a preoccuparmi del peso specifico della mia paura.
I tuoi pezzi sono audacemente personali, canti in modo sussurrato, mai urlato. E’ più una scelta o con gli anni è diventata una necessità?
Il mio modo di cantare è sempre stato tendenzialmente questo, scrivo cose personali e detesto chi fa delle sue cose personali un manifesto. A me basta un sussurro. E a volte lo trovo già fin troppo chiassoso.
Etica, libertà, ispirazione, esigenze di mercato: secondo te possono convivere nell’arte o c’è bisogno di un arbitraggio?
Sono tutte cose che non esistono, o che esistono troppo!!! Decisamente a questa domanda non so poi cosa rispondere. Credo all’etica come a un profumo che si può o meno scorgere nelle nostre azioni, nella necessità di libertà, nell’accezione formale, non credo affatto, trovo che l’ispirazione sia una questione di semplice attenzione e di fortuna e per quello che riguarda le esigenze di mercato, non ho una sola parola da spendere (non per purezza,grazie al cielo è mera pigrizia).
La casualità è spesso una sorgente benigna per gli autori, li nutre e li disseta, indicandogli la via da seguire: la tua arte deve più al caso o all’ingegno?
Sulla casualità sono d’accordo con quello che dici, ora si tratta di metterci d’accordo su quanto il caso sia poi casuale. A me piace pensare che la mia arte debba tutto all’ingegno di saper ascoltare il caso.
Esiste un linguaggio universale dell’arte che parla attraverso i diversi strumenti: tu a quale richiamo rispondi, o a quale lessico rispondi?
Io rispondo al richiamo dell’incoscienza che si concede il dubbio, sempre e comunque...
E rispondo al lessico della coscienza, che si concede il dubbio, sempre e comunque...
Sperimentale è un aggettivo abusato, oggi. Eppure la tua arte vive e si nutre di sperimentazioni: come riesci a mantenere purezza e fedeltà alla sperimentazione?
In realtà penso di sperimentare nella misura in cui vivere non può che essere sperimentazione, per quanto riguarda la mia musica, citando il buon vecchio Edoardo Bennato, sono solo canzonette. Riuscire a mantenere purezza e fedeltà alla sperimentazione? Semplice: basta guardarsi allo specchio… e fare il contrario.
E’ in lavorazione il tuo nuovo album Trasparentesi: un lavoro che si inserisce a pieno titolo nel concetto di sviluppo nell’arte a cui sei fedele dagli esordi o ci sono novità, elementi di dissonanza rispetto ai primi lavori?
Penso che a differenza dell’ultimo, Angoli Scalzi, che ha visto la collaborazione di diversi amici musicisti, Trasparentesi sarà più intimista del solito, non tanto nel contenuto dei testi quanto nella parte musicale, dove prevedo, oltre al mio, l’intervento di un ottimo pianista e stop. Quindi chitarre, piano, contrabbasso e voce. Per la parte dei testi, pur rimanendo nella mia guitta poetica, ogni volta mi sembra di aver ribadito qualcosa e anche di aver detto qualcosa di taciuto...chissà cosa è vero?!
Conosci già la prossima tappa del prossimo ‘viaggio’ o sono ancora carte da decifrare?
Insomma, conosco già la prossima tappa del prossimo viaggio...e so che sono ancora carte da decifrare...
LA FRASE: ... e per aver volato somiglierò per sempre all’ultimo atterraggio