“Quando abbiamo deciso di cambiare il logo della Mostra di Venezia sembrava doveroso ringraziare i santi accendendo un cero. Oggi, invece, dovremmo chiedere a Renzo Piano un logo di ringraziamento”. Comincia così, con una battuta rompighiaccio, la conferenza stampa di presentazione della settima edizione del Festival del Film di Roma, la prima dell’era post Detassis sostituita in plancia da Marco Muller, che dopo otto anni di ‘onorata’ direzione alla Mostra del Lido, e quasi cinque lustri di assenza dalla Capitale (“22 anni… sono passate talmente tante generazioni che non riconosco più le facce” dice scrutando i giornalisti) torna nella sua città per dirigere il Festival di Roma. Kermesse che dal clima festaiolo degli esordi, ad oggi, ha cambiato pelle come un serpente almeno tre volte.
Ad inaugurare le proiezioni, come abbiamo anticipato ieri, sarà il film Aspettando il mare di Bakhtiar Khudojnazarov, fuori concorso proprio come gli attesissimi Le 5 Leggende, e Breaking Dawn ovvero il capitolo finale della saga vampiresca Twilight. A spegnere i riflettori sulla kermesse sarà invece Una pistola en cada mano, di Cesc Gay. In mezzo tanti film in anteprima mondiale, diretti da grandi nomi della cinematografia internazionale, come Larry Clark (in gara a con Marfa Girl) e Kira Muratova autrice di Eterno ritorno. A presidere la giuria Concorso sarà l’attore e regista Jeff Nichols mentre per la nuova sezione CINEMAXXI l’artista visivo Douglas Gordon.
In questa edizione, allestita in fretta e furia in quattro mesi, dopo la travagliata nomina ‘politica’ di Muller, a parlare sono soprattutto alcuni nomi gettati sul tappeto – rigorosamente rosso per le star attese al festival - dal geniaccio Quentin Tarantino (il cui arrivo è stato paventato e non confermato in città per la promozione di Django Unchained) al sempiterno muscolare Silvester Stallone, protagonista dell’action hollywoodiano Bullet to the head di Walter Hill (fuori concorso).
Attesissimi sul red carpet, dove dovrebbe giganteggiare la scenografia di cartapesta di una lupa capitolina firmata Dante Ferretti ("per far tornare alla mente i fasti della gloriosa Cinecittà, facciamo archeologia di cartapesta") i protagonisti dei film del festival, da Bill Murray interprete di A glimpse inside the mind of Charles Swan III di Roman Coppola, al polacco Skolimowski jr autore di Ixjana passando per il messicano Enrique Rivero di Mai morire fino ai divi di casa nostra, da Laura Chiatti e Alessandro Preziosi protagonisti del film di Pappi Corsicato (Concorso) Il volto di un’altra a Isabella Ferrari, Luca Argentero, Filippo Nigro e Jean-Marc Barr interpreti di E la chiamato estate di Paolo Franchi, altro italiano in concorso insieme col film Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi.
Un passaggio sul tappeto rosso dovrebbero farla, da programma, anche Kaurismaki e Wenders, nomi inclusi in CineMAXXI – cartello che verrà reso noto tra una settimana – in cui figurano anche Marina Abramovic, Mike Figgis, Paul Verhoeven, Peter Greenaway, con i nostri Gianfranco Rosi, Elisabetta Sgarbi, Alina Marazzi.
La mostra in numeri. 59 i film presentati in prima mondiale (di cui 13 in Concorso, più due film sorpresa) e 5 pellicole in prima internazionale (di questi, 4 Fuori Concorso). I paesi partecipanti sono 26 dalla di Argentina alla U di Ucraina; 8 le sale coinvolte nell’evento per consentire al pubblico di assistere alle proiezioni.
Infine, le sezioni nuove di zecca. Che sono due: la già citata CinemaXXI (21 film in prima mondiale e uno in prima internazionale; 8 medio metraggi e 23 corti), che nasce da una costola di Extra – la sezione più innovativa del festival fino al 2011, curata da Mario Sesti; e Prospettive Italia, che tra lungometraggi, corti e documentari – solo opere prime e seconde - mette insieme 33 lavori (tra concorso e no) tutti proposti in prima mondiale, of course. Un programma mirato per il pubblico dei cinefili e dal sapore non proprio popolare, quello annunciato oggi all’Auditorium Parco della Musica – dove la kermesse avrà il suo cuore pulsante dal 7 al 17 novembre, con diramazioni in altre location individuate in via Veneto (Business Street), e diverse sale (tra cui le sale dell’auditorium, due tensostrutture, il cinema Barberini e il Trevi) e il Museo MAXXI.
Il programma non segue un vero e proprio filo rosso. Come conferma il direttore: “mi sentirei male se sapessi di aver lavorato al Festival cercando di creare dei gemellaggi tematici nei film” spiega Muller, che nei tanti momenti di amarcord del cinema italiano in questo festival – dagli Incunaboli delle Teche Rai alla collaborazione col Centro Sperimentale di Cineamatografia – dice di aver lavorato per tutelare l’identità da ‘non festival’ di Roma. E parla di una kermesse “numero zero, ma non da sogni infranti – ribatte – non sono affatto scontento. Certo, se avessi iniziato a lavorare lo scorso novembre anziché quattro mesi fa, sarebbe stato meglio. Da Venezia a Roma il mio motto è: andare sempre avanti ma a 360 gradi”.
Non male, ma neanche troppo azzardato. In un momento in cui il cinema italiano soffre per emorragia di spettatori e per variazioni profonde sulla modalità di fruizione dei film, la ricetta Muller per rinverdire Roma – spostamento del mercato alla seconda settimana di festival per cercare di agganciare produttori e major, e prezzi popolari per i biglietti della fascia serale delle h 19.30 – potrebbe essere quella giusta ma sulla lunga distanza. Ovvero per le edizioni che verranno, se verranno. Auguri.