Non parlo, non vedo, non sento. L’eterna favola nipponica delle tre scimmie che si turano, rispettivamente, la bocca, gli occhi e le orecchie per sfuggire a una realtà troppo difficile da accettare, quindi da eludere anche se in maniera transitoria, mettendo un improbabile coperchio sulla coscienza, è la metafora su cui il cineasta turco Nuri Bilge Ceylan (Gran Premio della Giuria a Cannes 2003 con Uzak) ha costruito l’apprezzabile Le tre scimmie, film premiato al 61° Festival di Cannes per la Miglior Regia. Fotografato da lampi di cupa bellezza nel cielo di Istanbul, tra panorami abbacinanti e incubi folgoranti, e sfumato nei colori seppiati tendenti al livido (“ho cercato di drammatizzare i pensieri astratti, le convinzioni e i conflitti concettuali del profondo di noi stessi” spiega il regista) Le tre scimmie – egregiamente interpretato da Yavuz Bingol, Hatice Aslan, Ahmet Rifat Sungar e Ercan Kesal - racconta la storia di una famiglia, già provata da un intimo dolore, costretta a fare i conti con il non detto, con un segreto impossibile da nascondere e troppo pesante da digerire. Un evento imprevisto che modificherà le loro vite, ancor prima delle loro coscienze sopite, costringendo tutti i protagonisti della storia a fare i conti con se stessi e a rivedere le dinamiche famigliari portate avanti sin lì con inerzia.
Compromessi, piccoli segreti e grandi menzogne: fare il gioco delle tre scimmie, alla fine, servirà a qualcosa? Davvero, una volta sedata la propria coscienza, ciascuno potrà tornare alla tranquilla vita di sempre o il compromesso pagato in moneta sonante si rivelerà un errore impossibile da perdonare? Il film inizia con un incidente d’auto provocato nottetempo da un politico alla vigilia delle elezioni che investe e uccide una persona. Spaventato l’uomo esce dall’auto e si nasconde, mentre dalla strada alcuni testimoni prendono il numero di targa della macchina. Per evitare risultati catastrofici alle urne, il politico telefona al suo autista e lo convince ad accusarsi dell’omicidio in cambio di una lauta ricompensa. Denaro sotto forma di stipendio mensile che moglie e figlio, puntualmente, potranno ritirare nel suo ufficio per garantirsi una vita serena. Ingolosito dall’offerta, l’autista accetta il compromesso e finisce in carcere. Sarà proprio durante la sua detenzione che la famiglia entra in crisi.
La donna, infatti, una bellezza sfiorita ma ancora pronta a rispondere ai richiami della passione, intreccia una relazione col politico. Liason che il figlio scopre inaspettatamente, ma di cui non accusa direttamente la madre, anche se rovesciare parzialmente le carte in tavola con sguardi accusatori e velate minacce servirà ad accendere ulteriormente i sospetti nei confronti della donna. Una volta libero, l’autista scoprirà che il suo ritorno a casa sarà un fardello ancora più pesante da sopportare della menzogna detta alla polizia per salvare la carriera del politico il quale, di lì a poco, verrà trovato cadavere. L’implosione delle coscienze dei protagonisti chiamati al confronto con una realtà troppo dura da sopportare indurranno l’autista a scegliere di nuovo la menzogna (stavolta convincendo un terzo incomodo a pronunciare false verità), il figlio depresso a colpevolizzarsi per il suo comportamento, e la moglie fedifraga a sporgersi pericolosamente dalla balaustra del terrazzo in cerca d’assoluzione.
Per la famiglia reggere l’urto del non detto e le bugie – e il loro potenziale negativo – significherà lasciarsi ingoiare da un denso buco nero, compromettendo la possibilità di relazionarsi gli uni con gli altri e svilendo il significato di Coscienza. Con una sceneggiatura scritta in punta di penna, efficace e schietta, sviluppata sulle rughe, le smorfie dei visi, le gocce di sudore, le nuvole e la pioggia, ma soprattutto con inquadrature stilizzate e soluzioni di regia che trasformano questo dramma familiare in un thriller dell’anima – da incorniciare la sequenza potentissima del pianto dell’autista, confortato dall’abbraccio di un bimbo immaginario - Nuri Bilge Ceylan dimostra il suo grande talento di narratore visionario. Immagini evocative e sequenze indelebili al servizio di un regista che trasforma la solita, squallida storia di letto in una materia incandescente. “Sono sempre stato affascinato e allo stesso tempo impaurito dalla straordinaria varietà delle manifestazioni della psiche umana – si legge nelle note di regia – mi ha sempre stupido osservare come nell’animo umano possano coesistere il desiderio di potere e la capacità di perdonare, l’amore e l’odio. Quello che mi spinge a fare film è la volontà di comprendere il nostro mondo interiore, un mondo che è impossibile formulare razionalmente”. Operazione riuscita magnificamente.
Nei cinema dal 12 settembre distribuito da Bim
La frase: La malinconica suoneria della protagonista che suona ripetutamente “Ama ma non farti amare... soffri d’amore come me”