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martedì 20 settembre 2022
di Claudio Fontanini
DON’T WORRY DARLING
Un Truman show sinistro ed ipnotico sui limiti del potenziale umano
Villette a schiera, ordine ed eleganza. Al mattino un corteo di auto di lusso esce dalle abitazioni e si dirige lontano dal centro abitato. Alla guida tutti gli uomini che lavorano ad un progetto top secret mentre le affascinanti consorti rimangono in casa a preparare manicaretti
Villette a schiera, ordine ed eleganza. Al mattino un corteo di auto di lusso esce dalle abitazioni e si dirige lontano dal centro abitato. Alla guida tutti gli uomini che lavorano ad un progetto top secret mentre le affascinanti consorti rimangono in casa a preparare manicaretti in attesa dei cocktail serali e dei party aristocratici. 

Siamo in America- il look e il decor sono quelli degli anni ’50- in una sorta di comunità ideale ed utopica situata in mezzo al deserto e dove le pulsioni sono represse (ma c’è ancora qualcuno che pratica sesso spinto…) e la divisione è tra ciò che sembra e ciò che vorrebbe essere. 

Alice (la Florence Pugh di Lady Macbeth) e Jack (la popstar Harry Stiles) vivono innamorati e pacificati (Non vuoi essere perfetta con me? domanda il marito) tra improvvisi sussulti (scosse di terremoto?) e segnali allarmanti (la misteriosa morte del piccolo figlio di una donna di colore) che scateneranno a poco nella donna la voglia di ricominciare a fare e a farsi domande scomode. 

Cosa c’è dietro tutto quell’apparente benessere e candore? Chi manovra i fili di quegli esseri umani così uguali e senza slanci emotivi? Il caos è nemico del progresso esclama il visionario amministratore delegato (Chris Pine) cercando di placare le insofferenze e le allucinazioni di Alice stanca di discrezione, pomeriggi di shopping compulsivo a conto aperto e ricette da cucinare (occhio alle uova senza tuorlo). 

Così quella sorta di Alice nel paese delle meraviglie si trasforma nella prova vivente della scheggia impazzita di un sistema destinato al collasso. Tra ricordi da cancellare e una motivetto romantico che risuona nella testa della protagonista dall’inizio alla fine, c’è di mezzo la rivolta delle donne (l’opera seconda di Olivia Wilde arriva dopo il sorprendente La rivincita delle sfigate) e il diritto alla diversità in un film che parla dei limiti del potenziale umano navigando tra i generi non sempre con successo. 

Truman show sinistro ed ipnotico ma anche nipotino de La fabbrica delle mogli di Bryan Forbes (1975) e del suo remake, La donna perfetta di Frank Oz (2004), Don’t worry Darling- passato fuori concorso all’ultima Mostra di Venezia- sfrutta al meglio il fascino glamour dei suoi attori protagonisti in una confezione plastificata che è anche l’essenza di questo film nel quale ogni movimento è volutamente studiato e manierato (C’è bellezza nel controllo, c’è grazia nella simmetria dice l’insegnante di danza alle donne). 

Peccato che dopo 120’ il gioco si faccia scoperto e troppe domande rimangano senza risposta (falle nella sceneggiatura di Katie Silberman) col film della Wilde che sembra accontentarsi della facciata e di sequenze ad effetto piuttosto che della sostanza. E quel rocambolesco incidente d’auto in sottofinale è da dimenticare.           

 
In sala dal 22 settembre distribuito da Warner Bros Pictures   


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