Sei ragazzini in scooter sfrecciano per i vicoli del rione Sanità alla conquista di Napoli. Vogliono tutto e subito. Abiti firmati, orologi preziosi, tavoli in discoteca da 500 euro, bottiglie di champagne e qualcuno, il loro capo quindicenne, perfino l’amore.
Attraverso Nicola (il prodigioso Francesco Di Napoli, faccia angelicata e sguardo consapevole), Tyson, Biscottino, Lollipop, O’Russ e Briatò, Claudio Giovannesi in La paranza dei bambini filma a meraviglia un gruppo di adolescenti sull’orlo dell’abisso in una storia di perdita d’innocenza e consapevolezza di morte.
Tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano (edito per l’Italia da Feltrinelli), l’unico film italiano in concorso a Berlino (premio per la miglior sceneggiatura) percorre in sicurezza la strada parallela del gioco e della guerra in un sorvegliato e misurato racconto in sottrazione girato in sequenza (gli attori, tutti esordienti e scelti tra più di 4000 ragazzi del napletano tra i 14 e i 18 anni, non hanno letto né il copione né il romanzo) con approccio documentaristico.
Niente sociologia insomma o retorica d’accatto ma in scena solo il percorso malavitoso condito dal sogno di una camorra etica e di una giusta presa di potere. Con questi sei ragazzini che approfittando di un vuoto di potere (il vecchio boss, Renato Carpentieri, è isolato e quello nuovo, Aniello Arena, viene incarcerato) danno il loro assalto al cielo a colpi di pistole semiautomatiche e AK-47. I
In mezzo all’illegalità diffusa di un quartiere che sembra non offrire alternative, Giovannesi (autore anche del soggetto e della sceneggiatura con Saviano e Maurizio Braucci) rappresenta l’ambizione della conquista di un gruppo di minorenni che mostrano i loro sentimenti in relazione all’esperienza criminosa.
Tra il mercato, la folla, i negozi e gli appartamenti osceni dei boss che sfoggiano orrori stilistici nei quali il gusto è assassinato in nome della vistosità (c’è persino un contrabbasso porta liquori) La paranza dei bambini- senza spettacolarizzare mai la violenza- denuncia l’abbassamento dell’età degli affiliati ai clan camorristici in un racconto di strada che sarebbe piaciuto a Pasolini e persino al Sergio Leone di C’era una volta in America.
Con Giovannesi, uno che ha già dimostrato l’arte di inquadrare la precarietà dei sentimenti nel suo magnifico film d’esordio (Alì ha gli occhi azzurri, 2012) e in Fiore (2016), a orchestrare a meraviglia una messa in scena sempre movimentata e complessa di una Napoli ferita e contraddittoria che si metafora del Sud del mondo e nella quale il sentimento e le psicologie prevalgono quasi sempre sull’azione.
Tra giganteschi alberi di Natale gettati in terra e tirate di cocaina, selfie con le pistole e calli alle mani dopo 30 anni di droghe tagliate, estorsioni e merendine rubate (Nicola, diventato padrone del rione, rimprovera il fratellino a colazione), neomelodici e fughe impossibili (anche Gallipoli può diventare il posto più bello del mondo), il film di Giovannesi perde qualche colpo soltanto in un sottofinale sin troppo allungato che apre le porte all’espiazione di un innocente e alla condanna a morte (fuori quadro) di un gruppo di ragazzini disposti a sacrificare se stessi prima di diventare uomini.
In sala dal 13 febbraio distribuito da Vision