Laureato con lode al Dams, diplomato al Centro Sperimentale, autore di numerosi cortometraggi e documentari e assistente alla regia per Sorrentino (in “This must be the place” e “La grande bellezza”), il siciliano Piero Messina debutta dietro la macchina da presa con L’attesa, primo film italiano a passare in concorso alla Mostra del cinema di Venezia
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Laureato con lode al Dams, diplomato al Centro Sperimentale, autore di numerosi cortometraggi e documentari e assistente alla regia per Sorrentino (in “This must be the place” e “La grande bellezza”), il siciliano Piero Messina debutta dietro la macchina da presa con L’attesa, primo film italiano a passare in concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Estetizzante, rarefatto e glaciale, il film di Messina mette in scena una rielaborazione del lutto che rimanda ad Antonioni e Visconti. Il primo per l’inevitabile accostamento a “L’avventura” (la sparizione di un personaggio che si fa motore dell’azione), il secondo per la cura maniacale dell’insieme e la precisione nel dettaglio e nella messinscena.
Il che, diciamolo subito, se può conquistare l’occhio e favorire l’appagamento estetico finisce però per soffocare l’insieme. Come le finestre chiuse della splendida villa decadente nella quale è ambientato il film (Chiaramonte Gulfi) o quei drappi di velluto che coprono gli specchi e nei quali si riflette un insopportabile presente. Si comincia con un funerale e una donna elegante distrutta dal dolore (la meravigliosa Juliette Binoche). Immersa in una natura che fa da contraltare al suo stato d’animo (con la nebbia che sale lungo le falde dell’Etna e impedisce allo sguardo di spingersi lontano), Anna trascorre le sue giornate in silenzio con l’unico conforto del tuttofare Pietro (un laconico Giorgio Colangeli).
L’arrivo improvviso in villa di una giovane ragazza (Lou De Laȃge), che dice di essere la fidanzata del figlio della padrona di casa, porterà alla luce una verità impronunciabile che si aggira per tutto l’arco del film come un fantasma del passato. Inquadrature ricercate e lentezza studiata (quel bicchiere in bilico sul tavolo in primo piano…), immagini sospese e dialoghi rarefatti, processioni e bugie, confidenze inattese e bagni turchi che lasciano evaporare essenze di vita in un confronto generazionale e culturale che finisce per avvicinare e compenetrare due donne agli antipodi che parlano la stessa lingua (il francese) ma non riescono a comunicare.
Scritto da Messina con Giacomo Bendotti, Ilaria Macchia e Andrea Paolo Massara (il soggetto è liberamente ispirato a “La vita che ti diedi” di Pirandello), L’assenza (lode alla fotografia di Francesco Di Giacomo e alle scenografie di Marco Dentici) rivela il notevolissimo gusto del suo autore che però, a forza di scrivere in bella copia, finisce per tramutare il tutto in un bell’esercizio di stile. Bisognava sporcarsi le mani e scavare più a fondo. Oltre quella superficie densa ed elegante sulla quale Messina dimostra di galleggiare con grazia e abilità. Nelle sale dal 17 settembre distribuito da MEDUSA FILM
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