Il 3 giugno al Circolo degli Artisti si è svolto l’evento organizzato da MArteLabel per presentare la New Entry dell’etichetta indipendente romana che, cogliendo l’occasione, ha ospitato la band rivelazione dell’electro-punk francese al suo primo tour italiano. Atmosfere psichedeliche viaggiano sulla Trans-Europe Express, dai casermoni della metallurgia sovietica alle fruste art déco della Parigi Belle Époque, passando per i sotterranei millenari della Città Eterna. Contaminazione e classe nelle due performance viste, ascoltate, sudate sul palco del Circolo, storica location della scena alternativa romana, per una notte fumoso club berlinese anni ’70.
Fondati nel 2001 da Riccardo Bertini (voce, chitarra elettrica e acustica) e Fabio Sabatini (tastiere, pianoforte e synths), i Mammooth sono un team di musicisti e produttori dal talento eclettico e polimorfo. La loro ricerca sonora spazia dall’elettronica tedesca al blues, dalla new wave al grunge, in un continuo scambio di influenze tra vecchio e nuovo, gusto vintage e avanguardia. E l’attitudine alla sperimentazione e a una wagneriana Gesamtkunstwerk che non si limiti al solo ambito musicale, ma che vagli tutti i campi dell’arte, li ha portati a collaborare fin dagli esordi con autori cinematografici e teatrali.
Partecipano infatti alla composizione di colonne sonore di numerosi film, da Sandrine nella pioggia di Tonino Zangardi a I baci mai dati di Roberta Torre. Nel 2011 Bertini scrive le musiche dello spettacolo L’occidente solitario che si rivela uno straordinario successo di critica e pubblico. Dopo la rivoluzione di Joy in Heaven, con cui i Mammooth stravolgono la loro poetica, in parte snaturandosi, decidono di lanciarsi in una nuova avventura artistica e personale entrando nella famiglia MArteLabel, che li onora con una serata a suon di synth e campionature. La loro esibizione, vero battesimo di fuoco che si dipana tra brani di repertorio e anticipazioni del progetto in uscita, è un equilibrio perfetto di raffinatezza esecutiva e energia rock, cristallina e diretta. Un rito d’iniziazione che ha preparato a dovere il pubblico all’eucarestia sintetica dei La Femme.
Il gruppo di Barritz esegue per intero il debut album PsychoTropicalBerlin, nomen omen di un manifesto futurista che descrive con precisione scientifica e ironia dadaista il loro sound: un impasto elettronico che fonda le sue radici nel krautrock, come nella marziale Amourdans le motu, si distende sotto il sole di lande lontane tra esotismi(ed erotismi) in Sur la planche, si snoda serpentino negli antri vorticosi di Hypsoline (una nuova Venus in Furs che sensuale nella sua pelliccia avanza verso il Gainsbourg più oltraggioso), si fa rockabilly industriale in Antitaxi (i Beach Boys indossano divise naziste e surfano su acque plastiche e paradisi artificiali) e muore malinconico soffocato dal Blues de Françoise. Oltre il minimalismo architettonico del Bauhaus, oltre la ripetizione robotica dei Kraftwerk, oltre la carnalità della tradizione cantautoriale francese, i La Femme osano divertendosi, anche nelle liriche. Colte, provocatorie, ambigue.
Se in Si un Jour giocano a imitare il Bowie di Rebel Rebel (con)fondendo generi musicali e sessuali con il ritornello glam-rock che recita: “Devenir Unisex pour savoircracher, fumertoute la journée, marcher tout en sifflant, porterdespantalons”, nella lettera d’amore struggente e apocalittica di From Tchernobyl with Love non hanno paura di scomodare Alain Resnais e gli Ultravox di Hiroshima Mon Amour dispensando citazioni cinefilo-musicaliche omaggiano in un colpo solo la Nouvelle Vague più sacra e intoccabile e il post-punk.
A vederli on stage non si direbbe che si tratti di ventenni al loro primo album, ma sarà forse la sfrontatezza della gioventù a conferirgli quell’aura maliziosa e un po’ demodè che ce li fa amare. Esagerati, frivoli, cupi e ammalianti, i La femme intrecciano su tappeti elettrici la silhouette di una donna voluttuosa e fatale, incarnando l’immaginario decadentista che nella figura femminile vede la dannazione infernale e la beatitudine celeste. Così, un po’ dannati e un po’ beati chiudono il loro viaggio lisergico fuori dal tempo e dallo spazio e tornano nel presente bidimensionale del qui e ora, lasciando il pubblico in balia di un piacevole e rimbaudiano dérèglement di sensi.
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