Questa notte degli Oscar è un riscatto per gli esterofili e per i cinefili appesantiti da una settimana di canzonette sanremesi. Un Oscar più povero (l’Academy ha operato tagli drastici nel budget) ma decisamente più interessante dei premi che consegna. E sì, perché anche se l’edizione ecumenica di quest’anno ha dispensato i premi col bilancino, sono due le grandi vittorie, incontrovertibili: quella di The Millionaire (l’America sa che quello che non si conquista si egemonizza: Bollywood stia attenta) e quella di Hugh Jackman. L’opera di Danny Boyle si aggiudica otto Academy Award (Foto2 - tra cui miglior film e miglior regista), Il curioso caso di Benjamin Button si ferma a tre (e tutti tecnici), Milk se ne porta a casa due pesantissimi, tra cui quello a Sean Penn come miglior attore.
L’attore australiano Hugh Jackman (Foto3) è stato lo splendido presentatore di questa kermesse: uno degli uomini più sexy e degli interpreti cinematografici più versatili e richiesti di Hollywood. Irresistibile il suo "pezzo" iniziale, la famosa copertina degli Oscar, di ottimo livello comico e di eccellente livello musicale, in cui raggiunge le vette del mitico e (finora) mai raggiunto Billy Cristal e rispolvera il suo passato di attore teatrale e di musical. Con scenografie poverissime e parodistiche presenta i film in gara, fino a un duetto cantato con un Anne Hathaway straordinaria nella parte di… Richard Nixon! Performance fisica, artistica e interdisciplinare che gli vale la (prima) standing ovation, mentre urla, con bella autoironia, il nome del suo ruolo più famoso, Wolverine.
La seconda arriverà con un medley in onore del "musical is back", coreografato dal regista Baz Luhrmann e in cui mostra le sue doti di ballerino e cantante, danzando sulle note dei musical più famosi degli ultimi anni (con una citazione di Grease, che nella versione australiana gli diede il primo successo). Tiene testa, anzi surclassa professionisti del genere: Beyoncè, Vanessa Hudgens, Zac Efron, Amanda Seyfried, Dominic Copper. Jackman riesce a rendere piacevolissima (altra chicca la gag filmata degli Strafumati Seth Rogen e James Franco, spettatori molto particolari di fotogrammi dei film in gara, esilarante) la prima ora e mezza, in cui gli attori non protagonisti sono l’unica vera emozione in mezzo agli altri Oscar ingiustamente definiti minori o tecnici, ma semplicemente penalizzati dalla curiosità di tutti per la vittoria finale.
Replicando il modello del premio a Scorsese consegnato dal Pantheon della New Hollywood (Coppola, Spielberg e Lucas), la grande sorpresa si gioca alla prima buca: Penelope Cruz (Foto4), dopo l’ingiusta sconfitta per Volver (2006) si riscatta con Vicky Cristina Barcelona, è lei la migliore attrice non protagonista (per una commedia, decisamente inusuale) e riceve la statuetta da cinque vincitrici precedenti: Anjelica Houston, Eva Marie Saint, Tilda Swinton, Goldie Hawn, Whoopi Goldberg, madrine delle nominate. Vale anche per gli uomini: Heath Ledger (Foto5 - a prendere il premio genitori e sorella, dignitosissimi e sobri, lacrime si Sean Penn, tutti commossi e silenzio irreale) "riceve" idealmente l’Oscar per il suo Joker di Batman-Il cavaliere oscuro (a cui è andato anche l’Academy Award per il montaggio sonoro) dai padrini Alan Arkin, Cuba Gooding Jr., Joel Gray, Kevin Kline, Christopher Walken. Secondo Oscar postumo ad un attore, dopo quello di Peter Finch per Quinto potere. Per i fratelli maggiori, gli attori protagonisti, altre due cinquine da infarto. Per The Reader, Kate Winslet (Foto 6 - finalmente, prima vittoria dopo sei nomination) prende la statuetta dalle mani di Sofia Loren, Shirley MacClaine, Halle Berry, Nicole Kidman e Marion Cotillard, mentre lo straordinario protagonista di Milk, Sean Penn (per lui è il secondo dopo quello del 2004 per Mystic River e lo dedica "contro" chi ostracizza i matrimoni gay e, con grande stile, a quel Mickey Rourke, sconfitto inatteso, che l’aveva definito mediocre e omofobo), la riceve da Ben Kingsley, Adrien Brody, Robert De Niro, Michael Douglas ed Anthony Hopkins.
Tutti gli altri premi servono per rimpinguare il bottino del trionfatore e dare qualche consolazione agli sconfitti: così la sceneggiatura originale va a Dustin Lance Black per Milk, la non originale a Simon Beaufoy per The Millionaire (che si aggiudica anche il missaggio sonoro, il montaggio, la colonna sonora, la miglior canzone originale); mentre scenografia, trucco, effetti speciali vanno a Il curioso caso di Benjamin Button.
Meritatissimi e scontati, e forse riduttivi, i riconoscimenti al miglior documentario e al miglior film d’animazione: Man on Wire sbaraglia i concorrenti. Wall•E trionfa in una categoria che gli va strettissima.
E la seconda sorpresa si consuma a ridosso delle categorie più attese: il miglior film straniero è infatti il giapponese Departures di Yojiro Takita, e così dopo Gomorra cadono sotto le maglie dell’Academy anche Valzer con Bashir, La banda Baader Meinhof e La classe.
Nella cerimonia asciutta e agile del Kodak Theatre, si è andati avanti tra performance incrociate e contaminate, tanto sense of humour e voglia di giocare con i colleghi, fulgido esempio di come Hollywood vinca gelosie e rivalità dei suoi eroi per serate come queste, vere e proprie jam session del cinema per il suo pubblico. E c’è stato anche spazio per la commozione: premio umanitario a Jerry Lewis, grande artista e tuttora acciaccato guerriero contro la distrofia muscolare (fu lui a inventarsi il Telethon), e ricordo commosso dei tanti mostri sacri che ci hanno lasciato nell’ultimo anno: Mulligan, Pollack, Minghella, Paul Newmann su tutti.
(Fonte: ilsole24ore.com)
(a cura di Stefano Biolchini e Boris Sollazzo)