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mercoledì 30 marzo 2005
di Silvia Di Paola
“Anthony Perkins. Prigioniero della paura”
Norman Bates è morto. Così il 12 settembre 1992 i giornali di tutto il mondo diedero la notizia della scomparsa di Anthony Perkins, condannando in eterno l’attore alla maschera dello psicopatico e suggellando uno dei più formidabili esempi di vampirismo artistico che il cinema ricordi. Il racconto della raffinata cultura e dei molteplici ruoli di Perkins (ha recitato per Cukor, Litvak, Wyler, Welles, Chabrol, interpretato commedie e gialli, portato al successo a Broadway numerosi spettacoli teatrali), rimasto però imprigionato per sempre nel ruolo di Norman Bates.

Una volta Otto Preminger gli disse: “Mi dispiace Mr. Perkins, la parte non è per lei. Stiamo cercando facce da Vecchio Testamento, lei ha un viso da Nuovo Testamento”.
Per chi lo conosceva bene e da molto lontano fu sempre un tipo solitario e autosufficiente; per sé stesso era “uno di quelli di cui tutti dicono ‘non mi piace’ per adeguarsi al giudizio della maggioranza”. Di certo c’era una genesi casuale e non voluta davvero, una madre troppo (morbosamente) attaccata e troppo poco (affettuosamente), una inconfessata ma consumata omosessualità, un parricidio potenziale (“a mio padre volevo bene ma pensavo che il mio desiderio di vederlo morto lo avesse davvero ucciso”), una disperata ricerca di quiete che a gocce almeno la recitazione gli regalava da quel primo momento quando aveva appena tre anni e sua madre lo sedette davanti a un palcoscenico, e l’intero percorso di una vita sul filo dl rasoio.
 
Dal suo folgorante inizio di attore alla trasformazione nel Norman Bates di Psyco che lo segnò per sempre, lo devastò, lo rese davvero meno libero e sino all’ultima rivelazione, quella dell’Aids che lo stava divorando e che lui scoprì per caso, grazie a uno scoop del National Enquirer cui un tecnico del laboratorio di analisi dove Perkins aveva fatto un esame del sangue, aveva venduto la notizia del suo esame per l’HIV (tra l’altro effettuato alla sua insaputa).

Allora l’attore avrebbe voluto querelare, la moglie Berry Berenson gli consigliò soltanto di rifare il test e, di fronte all’implacabilità del risultato, lui si fermò, si chiuse in se stesso e tentò di occultare l’occultabile. 

Michelangelo Capua racconta (in un volume edito da Lindau, Anthony Perkins. Prigioniero della paura) questa vita con documentata drammaticità, curiosando qua e là ma con pudore, lasciando parlare fatti e parole rimaste scritte da qualche parte, frasi registrate qua e là e brandelli di vita ripresa, solo appena scolorita dalla polvere ma fondamentale per cercare l’uomo che Perkins fu, oltre il fascio di riflettore che non lo rese mai libero. Come quasi sempre avviene.

Titolo: Antony Perkins. Prigioniero della Paura
Autore:
Michelangelo Capua
Editore: Lindau
Collana:
Le comete
Genere:
biografia/saggio
Pagine: 276 - 33 b/n f.t.
Prezzo: €  22,00
Data pubblicazione: 2004

 
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