Dimenticate il capolavoro di Luchino Visconti del 1963 (Palma d’Oro a Cannes) con Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale.
La nuova trasposizione cinematografica di uno dei più grandi romanzi italiani di tutti i tempi (scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel 1958) esplora con lo sguardo di oggi, e molte licenze, i temi che si tramandano da secoli e sono universali come il potere, politico e sentimentale, e il costo del progresso.
Prodotta da Indiana Production con Moonage Pictures e presentata alla stampa all’hotel Plaza di Roma (dove è stata girata la famosa scena del ballo) arriva su Netflix dal 5 marzo in 6 puntate la serie tv de Il Gattopardo con Kim Rossi Stuart nei panni del Principe di Salina, Saul Nanni in quelli di Tancredi Falconeri, Benedetta Porcaroli in quelli di Concetta (è suo il ruolo che assume maggiore spessore rispetto all’opera cinematografica) e Deva Cassel (la figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel) in quelli di Angelica.
Cinquemila comparse, 105 giorni di ripresa, 50 location (tra le altre Palermo, Siracusa, Catania e Roma), 6000 costumi (lode a Carlo Poggioli ed Edoardo Russo), 15.000 candele e 10.000 piante utilizzate sul set: sono solo alcuni numeri che servono a rendere l’idea della magnificenza della messa in scena e dell’accuratezza dell’insieme che fanno di questo nuovo elegantissimo Gattopardo una festa per gli occhi.
Meno riuscita sul piano interpretativo e del clima dell’epoca (il dialetto siciliano latita), la serie sembra puntare più sullo spettacolo sfarzoso e sull’aspetto delle vicende sentimentali del triangolo Tancredi, Concetta, Angelica, che sul contesto sociale e politico di un’Italia in trasformazione rappresentata, tra le altre, dall’iconica frase pronunciata da Tancredi (Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi).
Si comincia nel 1860 con lo sbarco dei Mille a Marsala e il regno Borbonico al tramonto, col Principe Salina, capofamiglia di una delle principali casate dell’aristocrazia siciliana, saldo spartiacque tra il vecchio e il nuovo mondo mentre persino il nipote Tancredi indossa la camicia rossa garibaldina credendo in un futuro migliore.
Si finirà con la nuova Italia in mano al nuovo ceto borghese rapace e vendicativo (rappresentato da Don Calogero Sedara, padre di Angelica e Sindaco di Donnafugata, interpretato da un bravissimo Francesco Colella, il migliore del cast) e al funerale di un uomo e di un’intera epoca.
In mezzo calura contro rivoluzione, censura e corruzione contro progresso, terrazze con vista esecuzioni e fatalità siciliana (Noi non vogliamo migliorare, la nostra vanità è più forte di qualsiasi esercito dice Don Fabrizio Corbera), bandiere vecchie e nuove e affreschi sulle pareti (Giano, il Dio dei passaggi), processioni e sensuali giochi a nascondino, un inutile flashback (sulle origini contadine di Angelica), un incontro improbabile (quello tra l’amante prostituta del Gattopardo e Concetta nella quarta puntata) conventi e matrimoni (Hanno a che fare col potere dice il Gattopardo).
Tutto ben fatto e formalmente impeccabile ma senza picchi emotivi e invenzioni di regia (dirige Tom Shankland affiancato da Giuseppe Capotondi per l’episodio 4 e Laura Luchetti per il 5).
Con la scrittura di Richard Warlow e Benji Walters che sembra dilatare e in parte disperdere, complice la natura seriale del progetto, la quintessenza di una storia di trasformazioni e di apparenza che si fa sostanza.
Mentre Kim Rossi Stuart sembra impegnato in un ruolo che sembra lontano dalla sua essenza (Don Fabrizio era un uomo alto due metri, superbo e pesante che quando camminava faceva traballare i mobili coi suoi passi, io invece mi sento fragile e insicuro. Ho pensato si trattasse di un triplo salto mortale e ho preferito puntare sui non detti e sulla sua intellettualità ha detto l’attore che per il ruolo ha dovuto lavorare anche sulla profondità della voce) e l’aria generale da sontuosa dichiarazione d’amore alla Sicilia è suggellata dalla bella colonna sonora firmata da Paolo Bonvino.
A completare il ricco cast della più grande avventura Netflix in Italia (così l’ha definita Tinny Andreatta, vicepresidente per i contenuti italiani della piattaforma) Paolo Calabresi (Padre Pirrone), l’intensa Astrid Meloni (Maria Stella Corbera di Salina, la moglie del Principe) e Francesco Di Leva (Russo).
Disponibile su Netflix dal 5 marzo