Non capita spesso di imbattersi in prodotti audiovisivi capaci di entrare a gamba tesa nel pieno di un dibattito politico e sociale in corso. E’ il caso di Acab (l’acronimo di Al cops are bastards), la serie che arriva a 13 anni di distanza dal bel film diretto da Stefano Sollima (qui nelle vesti di produttore esecutivo) e che racconta, in bilico tra pubblico e privato, le vita di un reparto mobile di polizia romano tra azione e fratellanza, omertà e spirito di gruppo.
Prodotta da Cattleya, parte di ITV Studios, per la convincente regia di Michele Alhaique, la serie, disponibile su Netlix dal 15 gennaio in 6 episodi, prende le mosse da una notte di feroci scontri in Val di Susa con la squadra di Mazinga (Marco Giallini, unico superstite del film), Marta Sarri (Valentina Bellè) e Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante) che resta momentaneamente orfana del suo capo Pietro Fura (Fabrizio Nardi) ferito da una molotov.
C’è un manifestante in coma, la stampa che chiede giustizia, un procuratore che indaga sull’accaduto e l’arrivo di un nuovo comandante riformista, Michele Nobili (Adriano Giannini) farà da detonatore all’esplosione di un conflitto interno sulla gestione dell’ordine pubblico sempre in bilico sul confine tra necessità di legalità e voglia di vendetta (Si aspettano una guerra ma non gliela daremo dice Giannini salendo sul blindato in vista di un pericolosissimo Roma - West Ham).
Ed ecco sgomberi forzati e presidi alle discariche, cariche e manganelli lavati con la candeggina, Bodycam scomparse e visiere abbassate (anche se all’inizio Michele non la indossa per scelta) mentre la serie- tratta dall’omonima opera letteraria di Carlo Bonini (edita in Italia da Feltrinelli) e ideata dallo stesso Bonini con Filippo Gravino per la scrittura dei due con Elisa Dondi, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini- esplora quella zona grigia nella quale si dibattono stati d’animo spesso inconciliabili e decisioni da prendere all’istante.
Tutti colpevoli, tutti innocenti, con la dialettica ordine/caos a fare da filo rosso a storie che incrociano fallimenti individuali e sensi di colpa. Perché Acab- La serie è anche, se non soprattutto, una storia di padri e figli, moglie e mariti che si dividono tra due famiglie difficilmente conciliabili. Con le ferite dell’anima e le cicatrici sui corpi a fare da scudo a scuse tardive e a impossibili amori.
Col dilemma morale (Siamo poliziotti di Stato o di Governo?) a scatenare l’inevitabile dibattito che un prodotto del genere è destinato a sollevare.
Emozionante ed adrenalinica, recitata da un cast da applausi e sostenuta dalla magnifica colonna sonora ipnotica dei Mokadelic (ma si ascoltano anche Grignani, Vasco Rossi e la toccante E non andar più via di Lucio Dalla), la serie prende alla gola e allo stomaco lo spettatore (le scene forti non mancano) per trascinarlo in una spirale di dubbi e domande dalle quali è opportunamente esclusa la retorica.
Con caratteri apparentemente agli antipodi che finiscono per avvicinarsi, più per necessità che per convinzione, e un magnifico finale che rimane a lungo negli occhi e nel cuore. Da non perdere.