Ritrovare Paolo Rossi sulle tavole di un palcoscenico è sempre un piacere. Si ha la sensazione- rarissima in questi tempi controllati e omologati- del qui e ora, dell’evento irripetibile, di un teatro da farsi- per e con il pubblico- che richiede cervello acceso e voglia di saltare gli steccati e le codificazioni di genere.
In Pane o libertà (per un futuro, immenso repertorio) il folletto travestito da Arlecchino impenitente regala 90’ di omaggi e ricordi, monologhi surreali e favole che si trasformano in moniti politici, pezzi canori e satira corrosiva (abolito il politicamente corretto, evviva!) in uno spettacolo che confonde attore, persona e personaggio attraverso l’arte dell’improvvisazione.
Si comincia con un mazzo di fiori distrutto sul palco e un bacio in bocca tra uomini (così, tanto per ironizzare sui presunti scandali sanremesi) e si prosegue con passi di flamenco e di polka, la discesa in campo di Berlusconi dal salotto del Costanzo show e la differenza tra pause e vuoti di memoria (Dopo 45” è un ictus…); i Festival dell’Unità del passato (Oggi i comunisti non mangiano più i bambini ma vegano…) e il teatro dell’assurdo (irresistibile quell’Aspettando Godot con Felice Andreasi che non capisce il suggerimento fuori scena); la critica alla società dello spettacolo e il sottile confine tra verità e finzione impersonificato da Zelenskyi tra bombe e serie tv; pubblicità ingannevoli (Ho sentito dei rumori in garage…erano ladri non una scusa per andare in bagno), maiali con l’anti age e confessioni salutiste (Il salame biologico non sa di un cazzo!).
Non ho cambiato idee, sono loro che hanno cambiato posto dice Rossi che canta Jannacci, Gianmaria Testa e una versione rivisitata dell’Uomo che perde i pezzi di Gaber tra spaesamento postmoderno e improbabili associazioni di libero pensiero (sì, è ancora possibile…).
Un satiro ancien régime con l’animo punk che diverte, fa riflettere e commuove (la lettera con gli ultimi pensieri di Jannacci) con un talento scenico spalleggiato e sostenuto dai musici-attori (Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari e Stefano Bembi) che dividono il palco con lui.
Teatro d’emergenza? Delirio organizzato? Serata illegale? Teatro di rianimazione? Comunque un teatro di domande scrive Rossi nelle note di regia. Un teatro necessario- aggiungiamo- che ha replicato anche nei cortili dei palazzi in tempi di pandemia e che ha fatto del comico di Monfalcone uno dei pochissimi attori ad alzarsi dal divano e a sapersi ribellare al genocidio culturale imposto dal governo.
Non è una novità.
Repliche al Vittoria di Roma fino al 26 febbraio.