A spasso per Roma con Massimo Wertmuller. In scena fino a domani al Teatro Ghione, l’attore prende per mano lo spettatore accompagnandolo in un viaggio semiserio (si ride tanto ma si riflette amaramente) nei vizi e nelle virtù della Città eterna che diventa pretesto per una nitida fotografia su quello che eravamo e su ciò che siamo diventati.
Ed ecco la rappresentazione di una città che da aperta ed accogliente si ritrova menefreghista e indifferente con la poesia della sua bellezza storica associata alla volgarità di una modernità chiassosa ed invadente oltre ogni limite. Testo e regia di Gianni Clementi e musiche di Pino Cangelosi eseguite dal vivo in A cuore aperto Wertmuller (uno degli ultimi eredi di quella romanità colta e popolare di cui si sono perse le tracce) mette in atto la sua dichiarazione di amore e odio verso un modus operandi e uno stile di vita cittadino che rifiuta la leggerezza e l’eleganza nel nome di una mutazione genetica avviata all’involuzione più che al progresso illuminato.
Ma chi è romano non si scorda mai di essere romano ed ecco che i propositi iniziali di abbandono si addolciscono nello sberleffo e nel ricordo di un tempo che fu (il bacio sul pane secco), arrivando persino alla commozione (quel padre che ritrova il figlio morto sugli spalti dello stadio avvolto in una sciarpa giallorossa) e alla presa di coscienza delle proprie origini.
Con Wertmuller che scherza coi due musicisti in scena e passa in rassegna gergo romanesco e insulti allargati, tipi e soprannomi, vecchi profumi di dopobarba e modelli pubblicitari imperanti, ideogrammi cinesi, cibi pesanti e romani all’estero (irresistibile il vociare fracassone e lontano che squarcia la bellezza esotica di Tunisi) in un’ora e mezza nella quale ci si specchia e ci si diverte.
E poi ancora Respighi e Giovenale, Pasolini e Gigi Proietti, il Fattaccio e il Barcarolo, Trilussa e Goethe in quello che diventa un manifesto identitario destinato a vecchie e nuove generazioni di romani.
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