“Che cosa è rimasto in me della Sicilia da cui sono partito? Direi tutto ciò che è l’inconscio che non mente mai, ci trapassa. Direi che da Palermo ho imparato la sensualità, forte, aggressiva, esasperata”. Eccolo il palermitano Luca Guadagnino appena arrivato a Roma per presentare il suo film delle sorprese. Perché nessuno, forse neanche lui, si aspettava tanti riflettori puntati sul suo Chiamami col tuo nome, così tanti da arrivare a cumulare ben 4 nomination agli Oscar per la sua storia d’amore e crescita, scoperta e desiderio che da oggi è in sala.
“Sono nel bel mezzo della lavorazione di un altro film, quindi posso vedere anche questa sorprendente notizia con la giusta prospettiva. Il film ha cominciato la sua vita lo scorso anno al Sundance e da allora c’è stata un’accoglienza ottima. Io ero convinto di aver fatto un buon film, non voglio essere ipocrita, ma mai e poi mai avrei pensato a una tale risposta. Oggi sono felice perché il film è stato fatto nel nome dello spirito di un certo genere di cinema che amo e da un angolo di Italia, la bassa cremasca, che adoro, così come il cinema italiano con cui ho ottimi rapporti. E non sono neppure convinto di giocare in solitario come pensano in molti".
"Vedo il cinema come qualcosa di unico e sento di appartenere a un’idea del cinema che non è dell’Italia ma del mondo, non mi interessano le identità del cinema e mi interessano le nouvelle vague che ovunque nel mondo, dal Brasile al Giappone, hanno rivoluzionato il cinema. Mi interessa l’appartenenza a un’idea del cinema, non a un paese”. Risposte nette di un regista che sente di appartenere a tanti luoghi e anche agli universi che crea sullo schermo: “Ho la sensazione che le vite di questi personaggi sono vite che nella loro semplicità fenomenica possono dirci qualcosa di noi, anche di me, nel crescere, magari potremmo seguirli ancora nella loro crescita, alla maniera di Truffaut, per questo avevo pensato a una sorta di sequel ma vedremo”.
E pensare che tutto è cominciato con quello che Guadagnino chiama “coinvolgimento trasversale”. Che vuol dire? “Che dei miei amici avevano preso i diritti del film e loro volevano capire dove era girato,avere dei dettagli sul contesto italiano e da allora sono stato coinvolto sempre di più ; abbiamo cercato il regista giusto per anni, finché siamo arrivati a me che potevo farlo con un budget minimale. Quindi insomma tutto è cominciato per caso”. Caso che ha sfiorato anche il protagonista,Timothée Chamalet, pure lui con una corposa candidatura sulla spalle: ”Avevo appena 17 anni, quando mi è stato proposto il ruolo e mi sono trovato subito bene con Luca ma quando il progetto mi fu presentato per caso, grazie al mio agente che conosceva Guadagnino, mi son reso conto che non era il solito ruolo ma era ricco, articolato, complesso".
"Non è stata una sfida ma un dono. Un dono da sogno, un personaggio ad altissimo livello intellettuale, solo nelle sequenze al pianoforte ho avuto qualche problema perché era difficile essere credibile. Mi sono dedicato al pianoforte e alla lingua italiana per tutto il mese precedente al set. E alla fine, come dice Luca, l’importanza del film sta nel suo essere un film non sull’amore gay ma su una persona che cresce e ne diventa un’altra, aiutata dai suoi affetti più cari. È un lavoro sul desiderio che va oltre ogni genere e su una relazione talmente intensa da essere quasi rara da vivere nella realtà, significa che il discorso riguarda l’amore assoluto, non importa che sia gay, lesbo o etero, oltre le etichette banali che siamo soliti affibbiare a tutto”.
E, accanto a lui, il bellissimo Armie Haller cui si perdona tutto, anche la tuta agli incontri con i giornalisti: “Anche per me è stato un incontro straordinario quello con Guadagnino, non il solito incontro di 45 minuti ma un incontro di oltre tre ore in cui abbiamo parlato, mangiato, giocato. Poi più nulla e solo dopo anni ricevo una telefonata e dico subito di si, anche se sapevo che questo progetto avrebbe stravolto del tutto me e la mia vita. Adoro lavorare in Italia che per me significa celebrare la vita, l’arte e far parte di un patrimonio cinematografico di alto livello . È una cosa che si sente lavorando con italiani. E poi si lavora in modo godibile e civile, magari 9 ore al giorno invece che 16 ore per sei giorni a settimana come a volte può avvenire negli Stati Uniti”.
Ma, alla fine, che cosa secondo Guadagnino ha toccato il cuore dell’Accademy? Che cosa, secondo lui, lo ha fatto scegliere tra tanti? “Non lo so .Sono successe cose uniche e strane. A casa (non so come sappiano il mio indirizzo) mi arrivano lettere di donne, di giovani, di anziani che mi dicono che il film è stato per loro un ‘esperienza formativa e trasformativa, come se permettesse loro di dare una risoluzione a dei loro nodi emotivi, penso che abbia a che fare sol fatto che il film ha anche a che vedere con la compassione, la capacità di vedersi nello sguardo dell’altro e l’empatia, cose importanti e necessarie in una contemporaneità sempre più atomizzata, sola, arrabbiata”.
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