Balordi e prostitute, ladri e cabarettisti ma anche affari sporchi e politici corrotti nella Milano notturna di fine anni ’70. Gli uomini che si servono di me hanno paura e poco tempo, io gli tolgo la paura e gli offro il tempo dice Bravo (Mario Sgueglia), il protagonista di Appunti di un venditore di donne diretto da Fabio Resinaro, prodotto da Eliseo Multimedia e Rai Cinema e tratto dall’omonimo bestseller di Giorgio Faletti pubblicato in Italia nel 2010.
Enigmatico imprenditore di donne (le vende al miglior offerente per una notte) vive la sua vita tra locali di lusso, discoteche e bische clandestine con due biglietti aerei nascosti come passaporto per una nuova vita come Al Pacino in Carlito’s way.
Tra soldi e ideali, caos e caso, amici poco raccomadabili (Francesco Montanari è un cameriere cieco con la passione per il canto, Paolo Rossi un traffichino compagno di bevute notturne) e handicap fisici (Bravo è stato evirato anni prima) c’è di mezzo anche una schedina da 490 milioni che mette in moto un vorticoso giro di colpi di scena e tradimenti più o meno annunciati.
Col quinto romanzo di Faletti- edito ora da La nave di Teseo- che si fa ottimo cinema nelle mani di un regista che ha studiato a meraviglia le atmosfere e la narrazione dei poliziotteschi anni ’70. Ma qui, in più, grazie alla penna di Faletti (la sceneggiatura del film è dello stesso Resinaro che ha scritto la prima stesura in un solo week end) c’è anche la drammatica situazione sociale e politica italiana. Con le Brigate Rosse che sfornano comunicati dopo il rapimento Moro, la criminalità organizzata e i servizi segreti. Perché in fondo, come dice giustamente il produttore Luca Barbareschi questa è una storia di padri e figli.
Il mito di Crono che mangia i suoi figli è l’archetipo del libro di Faletti, un tema che mi è caro e che conosco alla perfezione. La mia generazione- confessa Barbareschi- ha avuto padri ingombranti e pessimi consiglieri che hanno fiancheggiato il terrorismo per smania di potere. Appunti di un venditore di donne ha un incipit terribile che è la metafora di una generazione. E poi anche io ho ucciso metaforicamente mio padre a 17 anni, da quando gli dissi che volevo fare l’attore e mi rispose che non mi avrebbe dato una lira.
In un ruolo chiave del film, da non rivelare, c’è anche Michele Placido che attraverso questo personaggio fa un bilancio della sua carriera artistica.
Sono sempre stato un attore anomalo, leggo pochi copioni e parlo tanto coi registi che mi dirigono e ho capito che Resinaro è uno di quelli con grande talento. Il libro di Faletti me lo aveva fatto leggere De Laurentiis poco dopo l’uscita, voleva che lo dirigessi al cinema ma allora non mi sentivo pronto. E’ anche un film sulle connessioni mafia-politica, un tema che conosco bene e che ho già trattato sul grande schermo in Vallanzasca e Romanzo criminale per non dire del delitto Ambrosoli. Sotto la patina della Milano da bere anche lì, come a Roma, di marcio ce n’era tanto. Bene e male convivevano negli stessi locali notturni e spesso erano indistinguibili ma oggi, paradossalmente, forse rimpiango quei tempi. Dei politici odierni meglio non parlare…
Sul tempa padri-figli, Placido dice la sua.
Ne ho fatti 5 e 3 vogliono fare la mia professione. Sono anche bravi e io che ormai ho un piede nella fossa li vedo con una certa invidia. Mi rode non avere la loro energia e la loro età…
Fabio Resinaro spiega invece le modalità della messa in scena.
Non mi interessavano le etichette da film di genere, piuttosto volevo ricreare certe atmosfere e la sfida è stata quella di girare come fossimo immersi negli anni ’70. Non è stato facile perché la Milano ultramoderna di oggi non offre molti campi visivi a questo scopo ma credo di aver fatto un buon lavoro. Il mio è un film notturno che parla di disobbedienti, il protagonista è un infiltrato con un piano per rivoluzionare il sistema. E poi trovo la storia molto attuale, anche nel 2021 sono sempre le giovani generazioni quelle ad essere sacrificate.
Paolo Rossi è stato un testimone diretto di quel clima e di quel periodo milanese.
Il mio personaggio si chiama Daytona ma quello vero, che ho conosciuto, si faceva soprannominare Le Mans. Era grasso e grosso. Ho lavorato 5 anni al Derby e la differenza con gli stend up di oggi è che noi non avevamo l’asta del microfono e recitavamo a voce libera. Sono stato presente la notte della retata al locale, quando la narcotici arrestò 60 persone e io fui tra i 4 che la scamparono. Un agente che avevo conosciuto e si era infiltrato spacciandosi come amante del teatro comico mi regalò un cane poliziotto antidroga…
Nel cast del film, in onda in prima visione assoluta su Sky Cinema Uno il 25 giugno alle ore 21,15 e disponibile on demand e in streaming su Now, anche Miriam Dalmazio, Libero De Rienzo e Claudio Bigagli.