“Forse la storia non è stata quella raccontata. Forse non c’è stato un Sud mafioso contro un Nord virtuoso. Forse è stato il Sud a essere violentato dal nord e questo racconta il film, così come il dolore e la vera natura della Sicilia. Vi lamentate che si racconti troppo del Sud? Ma sono le ferite le cose che vanno raccontate, il dolore, le piaghe”. Parola di Luca Barbareschi produttore del primo film tv che al centro ha la figura del magistrato Rocco Chinnici che alla figlia Caterina che le chiedeva se la vita sotto scorta, le sue lotte, il suo sacrificio ogni giorno avessero un senso, rispondeva: ”C’è l’ha, un magistrato non deve mai tirarsi indietro. Io rifarei tutto quello che ho fatto”.
Poco dopo fu assassinato, nel luglio del 1983. Ed è proprio dal libro di Caterina, È così lieve il tuo bacio sulla fronte, che parte l’omonimo film tv firmato da Michele Soavi (il 23 in prima serata su Rai1 e il 24 proiettato nel Parlamento Europeo durante una serata istituzionale)), interpretato anche da Cristiana Dell’Acqua e Manuela Ventura nel ruolo di Tina Chinnici, mentre Sergio Castellitto da corpo e energia e dolore alla figura del magistrato, il primo a intuire i legami della mafia con imprenditori,politici e malavita internazionale.
Ma che cosa ha di diverso Chinnici dai tanti eroi tirati fuori dalla realtà che l’attore ha interpretato sino ad oggi? “Era un uomo che si alzava prestissimo la mattina e lavorava tutto il giorno e, nonostante i suoi impegni di magistrato, era il rappresentante di classe dei figli e non ha mai perso un consiglio di classe. Cioè un uomo che amava la sua vita qualunque”.
La sua più grande lezione? “La capacità di tenere tutto insieme, magistrato, padre, amico, giardiniere e di conservare intatta la sua umanità e le sue paure, oltre ad una grande attenzione verso i giovani perché aveva capito che nessuno più di loro, cittadini di domani, ha bisogno di strumenti per capire. Anche perché sono loro i più fragili davanti al male. Come mi disse una volta Francis Ford Coppola, il male è seduttivo, molto più del bene soprattutto per i giovani ed è a questo che pensava Chinnici”.
Cosi Castellitto, mentre accanto a lui Manuela Ventura racconta come si è avvicinata a Tina Chinnici. E lo racconta col cuore in mano: “L’ho conosciuta prima di tutto attraverso il libro, come una donna determinata che ha mostrato emancipazione e autonomia ma che ha accompagnato questa determinazione con una cura, una tenerezza che fa parte della figura materna ma anche della sua forza nello stare accanto a un uomo con cui ha sposato un progetto di vita. Una donna che ha abbracciato una unione così profonda da permettergli di allevare dei figli che hanno potuto poi affrontare quello che hanno affrontato. Una donna che ha fatto venir fuori germogli importanti".
"A volte non dialogavano ma bastavano pochi sguardi e tutto hanno fatto insieme,tutto è stato in quella famiglia una condivisione. Il che prova che l’unione fa la forza. Da figlia della Sicilia io dico che la famiglia è a questo che serve. Lo dico con speranza e con speranza l’ho raccontato ai miei figli mentre vedevo nei loro occhi quello che non trovo altrove, la luce di chi ancora fa la differenza tra bene e male. E sono felice di poter raccontare loro una speranza con questa storia di un uomo che potava le rose, che metteva le mani nella terra, che credeva a queste piccole grandi cose. E vorrei che restassero di Chinnici tutte queste cose e non solo il finale tragico”.
Lo vuole anche Caterina Chinnici che intreccia ricordi e realtà: “C’è una grande similitudine tra me e mio padre,io ho fatto delle scelte seguendo spontaneamente il suo modello. IL maestro, il medico e il magistrato sono i tre mestieri più belli del mondo diceva papà e io gli credevo e ci credo ancora. Per me portare avanti il mio impegno è stato onorare la sua memoria. Nel tempo il dolore è diventato una grande forza e per fare in modo che lui possa essere ricordato per ciò che ha dato ai giovani, alla Sicilia, all’Italia ho scritto il libro anche se sono molto riservata. L’ho scritto perché ho voluto farlo rivivere ancora una volta, anche con questo film".
"Certo non è facile accettare per un figlio quel sacrificio ma siamo convinti che quel sacrificio ha avuto un senso. Certo la mafia ha cambiato le sue modalità perché come diceva mio padre la mafia cambia restando sempre se stessa. Ma lui ha segnato per sempre il lavoro giudiziario, la cultura giuridica e indicato un percorso di non ritorno. Ha creato un pool quando i magistrati per formazione erano abituati a lavorare da soli, ha sostenuto fortemente la legge Pio La Torre che per la prima volta consentiva le indagini bancarie e il sequestro dei beni mafiosi. E, la cosa più importante, è andato nelle scuole, certo che senza una nuova coscienza non si sarebbe sconfitta la mafia. E, anche se poi il cambiamento culturale è il più difficile e la mafia non è sconfitta, a lui dobbiamo grandi progressi in questa battaglia. Progressi da cui non si torna più indietro”.
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