Paradise, il capolavoro di Andrei Konchalovsky, vincitore del Leone d’Argento alla 73.a Mostra del Cinema di Venezia e candidato dalla Russia per l’Oscar come miglior film straniero, è stato presentato al pubblico romano nell’ambito del Tertio Millennio Film Fest, alla presenza del maestro russo che ha incontrato il pubblico prima e dopo la proiezione al Cinema Trevi. Il regista russo, autore di film indimenticabili quali “La storia di Asja Kljacina che amò senza sposarsi”, “Maria’s Lovers” fino a “Le notti bianche del postino”, era a Roma ospite del festival, perché ha ricevuto il premio Robert Bresson dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo.
Sulla sua ultima opera, ambientata in un lager, esordisce: “Non è un film sull’Olocausto ma sul male che seduce, un’analisi della burocrazia nei campi di concentramento, una riflessione sulla seduzione del male. Sullo sterminio degli ebrei sono stati fatti centinaia di film, non volevo rifare il camminamento nei lager, visto e rivisto, come nel Nabucco di Verdi rivisitato”. “La parola attualità non mi piace perché con l’arte non c’entra niente. Quale attualità c’è in Dante? Nella Nona sinfonia di Beethoven? L’attualità presuppone un discorso di politica, e la politica cambia ma l’essere umano no. Il dolore resta dolore, il male resta male. Le persone fanno del male perché è così seducente, le persone infliggono un male profondo credendo di fare la cosa giusta, addirittura buona. Io non fornisco risposte ma sollevo delle domande”.
“Tutto mi interessa perché non esistono storie noiose ma narratori noiosi. Tutto è interessante. Oggi, venendo qui, guardavo gli artisti di strada, quelli che fanno le ‘statue’ e stanno lì immobili per ore. Mi chiedevo cosa faranno quando tornano a casa, se hanno una casa, a cosa pensano mentre stanno lì fermi. Ci vuole uno sguardo più intenso per dare realtà alle storie, ma anche udito per ascoltare il sussurro di Dio. Einstein, ad una conferenza stampa, disse che ‘la teoria della relatività è molto semplice, allora perché aspettare, la natura ha una voce molto bassa ma io ho un udito molto acuto’”.
“Con la definizione ‘moderno’ è la stessa cosa, o si piange o si ride, ma se non provi emozioni non è moderno, un film può essere molto moderno ma se non provoca emozioni ti addormenti. Ogni cosa è possibile se si condividono emozioni e si offre un significato alto. Oggi è molto difficile perché ogni emozione viene banalizzata, anzi tutto viene banalizzato attraverso internet, persino il sesso. Perciò c’è chi sostiene che l’Olocausto non è mai esistito e chi invece ribatte che è esistito. Ma sono soprattutto le nuove generazioni che non capiscono di cosa si tratta. Perciò bisogna impegnarsi e lottare per il ricordo, perché i soldati tedeschi erano persone perbene, della media borghesia, facevano quello che facevano perché lo facevano gli altri. Questo è successo tremila anni fa, è successo allora e succede oggi”.
“E’ sempre bello ricevere dei premi – conclude -, è come avere dei regali sotto l’albero di Natale, un apprezzamento del film che faccio per me stesso senza preoccuparmi degli altri, anche quando sono pronto al flop. Puoi scrivere un fantastico romanzo senza bisogno di un computer, ma usando solo una matita e un pezzo di carta. Con i film non è possibile perché costano, è facile a dirsi ma difficile da farsi. Per un giovane cineasta senza fama è estremamente difficile perché chi dà i soldi vuol sapere quanti ne torneranno indietro, anch’io all’inizio dovevo farmi una strada, ora dopo più di cinquant’anni, ispiro una certa fiducia ma chi mi dà i soldi ha un compito molto rischioso".
"Oggi con le nuove tecnologie è molto più economico perché si può girare persino con un headphone, ma il problema è il talento, che ci vuole sempre. E come diceva il grande maestro Robert Bresson ‘il futuro del cinema è nelle mani dei giovani registi che sono pronti a pagare per fare un film’. Purtroppo è un concetto in contrasto con la filosofia moderna della Coca Cola, la concezione del successo, successo e ancora successo”.
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