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mercoledì 7 settembre 2005
di Nicola Navazio
La pittura della memoria di Giorgio Scalco
Il Complesso del Vittoriano ospita fino al 25 settembre le opere del pittore di Schio

Paesaggi, nature morte, ritratti, interni con figure, che ribadiscono i valori eterni di bellezza e integrità: le opere di Giorgio Scalco arrivano al Complesso del Vittoriano, dove saranno in mostra fino al 25 settembre, in una retrospettiva che ripropone l’intero percorso creativo del pittore di Schio.

Realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia in collaborazione con la Galleria d’Arte Forni di Bologna, l’esposizione allestisce oltre 80 tele, realizzate a partire dai primi anni Sessanta, quando Scalco lascia la sua attività di architetto-scenografo a Cinecittà per dedicarsi interamente alla pittura, amata e studiata fin da bambino. E se negli anni Settanta svolge un’intensa attività decorativa eseguendo affreschi, mosaici, vetrate istoriate per edifici pubblici e privati, in Italia e all’estero, conteso dai maggiori architetti romani, sceglie invece di affidare alla tela e ai colori la sua continua ricerca del passato, il viaggio della memoria che caparbiamente persegue.

Difficile da catalogare nelle varie scuole o movimenti artistici succedutisi nella seconda metà del ’900, Scalco non abbandona le sue passioni, anzi le fonde adeguando l’intensa sensibilità pittorica alla composizione architettonica della scena. La quale però mai sovrasta le suggestioni, lasciando che melanconia e nostalgia plasmino i paesaggi dell’infanzia (l’altopiano d’Asiago), gli interni soffusi di luce autunnale, le nature morte ’solenni’, come le definisce lo scrittore Giorgio Soavi: “Potrei tranquillamente aggiungere l’aggettivo solenne - scrive nel catalogo della mostra - perché la sua pittura, anche se si occupa di una zucca spaccata in due, è solenne quanto basta”.

Scalco ha dedicato molto tempo allo studio degli antichi maestri, alla ricerca dello stile nei capolavori di Caravaggio o Vermeer, ma non solo. In un lungo soggiorno negli Stati Uniti approfondisce la conoscenza del realismo americano. Di quel periodo l’artista racconta: "Allora vi era una spaccatura che in qualche modo si è ricomposta. Da quel momento in poi ho guardato più indietro che avanti, mi sono recato nei musei per analizzare le varie tecniche di pittura, ravvisando il segreto nascosto sotto il colore, la dialettica del chiaroscuro".
E infatti, dopo le vedute romantiche, alla scoperta dell’anima delle cose, l’artista inizia a dipingere giovani donne, ragazzi, la figlia Ginny, modella preferita, ritratte in piedi o sedute, immobili, senza emozioni visibili sui volti. Il paesaggio o l’interno è solo un palcoscenico, che determina la loro esistenza e che loro non forzano.

La natura morta caratterizza invece la produzione degli anni Ottanta. Gli oggetti sono posti, come già per i paesaggi e le figure, fuori dal tempo e una luce misteriosa si posa come un velo capace di farne emergere le infinite variazioni plastiche. 

Dal 7 al 25 settembre 2005
Complesso del Vittoriano – V. San Pietro in Carcere – Roma
Orario: dalle 10 alle 19, compresi i festivi
Ingresso: libero

 
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