"Amava molto essere coccolato e nutriva una profonda ammirazione per le donne e il loro modo di sapersi prendere cura degli altri. La perdita di nostra madre gli tolse la serenità e il rischio di poter soffrire un nuovo distacco provocò in lui la paura di relazioni durature”. Anche così, con queste parole di Rosaria Troisi porebbe introdursi un nuovo racconto della vicenda di terra e sorriso e morte di Massimo Troisi che il 27 sarà ricordato nella cornice del Festival di Roma grazie a un omaggio in occasione della presentazione di Oltre il respiro, volume in cui la sorella ricorda Massimo con Lilly Ippoliti (che esce in cofanetto con dieci incisioni di Rancho il 10 novembre per Jacobelli) a trent’anni dall’uscita di Ricomincio da tre e a diciassette anni dalla morte dell’attore-regista.
Era il 4 giugno del 1994 e oggi la sorella Rosaria ha voluto ricordarlo con la Ippoliti. Ricordarlo attraverso un grande amore finora mai rivelato, il dolore della malattia, la battaglia contro il tempo, la tenacia nell’inseguire un sogno, la malinconia e la capacità di sorridere per tenere a bada la morte.
Dalla sua infanzia di ragazzetto timido di San Giorgio a Cremano (dove era nato il 19 febbraio 1953) al rapporto fondamentale con la madre, morta quando era ragazzo, al rapporto con il nonno Pasquale che "si attardava a tavola raccontandoci gli incredibili aneddoti della sua vita. Ci incantava tutti, con quei suoi gesti da attore consumato, con le pause studiate mentre sbucciava la frutta. Era come stare a tavola con Eduardo. Massimo era piccolo e lo osservava in silenzio, rubando con gli occhi l’arte di quella genuina seduzione".
E, poi, dai primi passi in palcoscenico alla Smorfia fino a Il Postino, il suo ultimo film, racconta Rosaria mentre la Ippoliti prende nota. Tutto il percorso lungo un sogno. Certo durato troppo poco.
"Non ho mai incontrato Troisi – dice oggi - e la cosa che ha più stupito Rosaria è che da quello che ho scritto é come se io e Massimo fossimo stati sempre amici. Dal suo primo film, mi ha sempre colpito la sua malinconia: penso che dipendesse dal fatto che tentava di tenere a distanza la morte perché sapeva di avere poco tempo. Per questo cercava e sapeva far ridere nelle situazioni più drammatiche".
"Diciamo che il cinema era un mezzo che lui usava per far sentire la sua voce delicata, per raccontare e denunciare il disagio e lo faceva con leggerezza. Tutti ricorderanno il suo discorso per la Coppa Volpi a Venezia in cui disse che era stato benissimo, in un albergo bellissimo per poi chiedere ’ma i poveri dove sono?’. Il Postino è stata la realizzazione di sé come poeta. Finito il film è morto come il Piccolo Principe che si fa ammazzare dal serpente perché la sua missione è finita".